sabato 29 settembre 2018

Italiani che emigrano all'estero, Italiani che restano in Italia

Italiani che emigrano all'estero, Italiani che restano in Italia. Tutti Italiani ma due popoli apparentemente diversi che si criticano a vicenda:
Voi non avete avuto il coraggio di emigrare! E' comodo stare a casa dei genitori e non dover pagare vitto e alloggio!
Voi siete scappati dall'Italia! Noi siamo rimasti qui a lottare per migliorare le cose! 
Dopo tanti anni all'estero queste polemiche le ho lasciate alle spalle anche se ogni tanto rispuntano fuori. Per me sono semplicemente scelte di vita. Cosa penso degli Italiani rimasti in Italia? Li rispetto e li ho sempre rispettati. Alcuni avrebbero voluto andare all'estero ma gli è mancato il coraggio, altri senza un euro o senza un appoggio all'estero hanno dovuto rinunciare a partire. Molti altri non hanno mai voluto emigrare, non tutti abbiamo lo stesso desiderio, e profondamente legati al proprio paese o alla propria città hanno deciso di restare nonostante la situazione economica degli ultimi anni sia molto difficile.  Sono scelte di vita e rispetto tutti.
Spesso, però, chi è rimasto in Italia tira fuori dal cilindro una frase ben nota a noi che siamo all'estero:
Troppo facile andare all'estero, noi siamo rimasti in Italia a lottare!
Vorrebbero farti sentire in colpa, come se tu fossi un egoista ingrato che ha lasciato gli altri soli a "combattere" contro le cose che non vanno bene nel nostro Paese. Sottolineo nostro perché è anche il paese di chi è emigrato. E se per caso continui a interessarti dell'Italia, a dare giudizi e anche, perché no,  a criticare le disfunzioni italiane, ti dicono velatamente o esplicitamente che la tua vita e' all'estero e non dovresti più interessarti dell'Italia. 
Vorrei chiarire alcuni punti,  senza polemiche, per comprenderci meglio noi popolo di emigrati e voi popolo dei rimasti in Italia.
1) Non è facile andare all'estero, non e' tutto rose e fiori. Nessuno ti regala niente. Quando scendi da quell'aereo non trovi un tappeto rosso alla fine della scaletta. Andare a vivere lontano da genitori, fratelli, sorelle, nonni e amici di una vita, quelli veri che nel nuovo Paese non troverai mai più, non è una passeggiata di piacere.
2) Agli Italiani che come me sono andati a vivere all'estero non hanno tolto né il passaporto italiano, né il diritto di parola e di critica all'Italia. Alcuni dicono: Tu stai bene all'estero. Perché ti interessi dell'Italia? E io rispondo che chi vive all'estero inizia ad amare l'Italia anche più di quando stava in Italia perché realizza che l'Italia nonostante tutto ha anche tantissimi pregi. E ci dispiace se molte cose non migliorano. Molti di noi emigrati hanno vissuto 25-30 anni in Italia, hanno studiato all'università italiana prima di emigrare. La nostra cultura è totalmente imbevuta di italianità. Ci sentiamo Italiani al 100%. E' impossibile andare all'estero e tagliare il cordone ombelicale. Ci informiamo ogni giorno su cosa accade in Italia, seguiamo tutte le vicende di cronaca e di politica grazie ad internet. Ci sentiamo regolarmente con amici e parenti via Messenger, Skype, Whatsapp.
3) Perché siamo ancora interessanti all'Italia e non pensiamo solo alla nostra vita all'estero? Semplice. Siamo interessanti all'Italia perché abbiamo familiari e amici che hanno qualche difficoltà in questo periodo storico e poiché non pensiamo solo alla nostra vita all'estero vorremmo vedere dei miglioramenti anche per loro. Inoltre alcuni di noi vorrebbero tornare in Italia se solo le condizioni lavorative migliorassero un pò. Molti potrebbero dire: si ma voi non siete restati con noi a lottare. E io mi chiedo: lottare come? E faccio due esempi di quando, dopo oltre 6 anni in Usa decisi di tornare in Italia, e credo di aver lottato un pò a mio modo.
4) Tornato in Italia, dopo 6 anni in Usa, trascorsi mesi a inviare CV dalla mattina alla sera. Dopo tante email ignorate e rifiuti trovai lavoro, uno al Nord e uno al Sud. L'azienda del nord era gestita da una coppia, marito e moglie, scorbutici, scorretti ed arroganti. Mi assunsero con delle condizioni e poi si rimangiarono la parola. Mi licenziai dopo una settimana. Li spiazzai perché nessuno lo aveva fatto prima. Tutti avevano accettato il loro contratto di lavoro di 6 mesi subendo il loro modo di fare (me lo confermò poi il recruiter che me li fece conoscere). Licenziarmi fu la mia piccola lotta. Rifiutare di essere sfruttato, trattato male e preso in giro. Trovai poi lavoro in una compagnia del Sud, anche li durante il colloquio tante belle parole e promesse ma quando mi fecero l'offerta, dopo un training di due settimane durante il quale nessuno sapeva quanto ci avrebbero offerto in caso di assunzione...mi offrirono 500 euro al mese. Rifiutai ma molti ragazzi accettarono e ricordo ancora le loro frasi rassegnate: meglio di niente. Se tolte le spese di benzina per arrivare a lavoro a fine mese ci restano anche solo 30 euro, è sempre meglio di niente. Io me ne andai. Fu un'altra mia piccola lotta. Loro restarono. Se tutti avessero rifiutato e forse quegli imprenditori avrebbero capito che con 500 euro al mese gli impiegati ci fanno la fame e avrebbero alzato gli stipendi. Invece per ognuno che rifiutava c'erano 100 altri ragazzi che bussavano alle loro porte con il CV in mano. 500 euro per un lavoro full time, per cui dovevi lavorare anche il sabato o la domenica? Non scherziamo. Non ce l'avrei fatta senza l'aiuto dei miei e a quasi 40 anni non mi andava di farmi sfruttare e di dover chiedere aiuto, vitto e alloggio ai miei. E dopo il tentativo "ritorno in Italia" ho deciso di tornare in Usa, dove cinque anni fa mi hanno riaccolto a braccia aperte offrendomi uno stipendio molto molto più alto di quelli che mi avevano proposto in Italia. Certo mi mancano molte cose dell'Italia ma almeno vivo una vita economicamente serena e posso mantenermi da solo senza l'aiuto dei genitori. 
Sono scelte di vita. Non me la sento di giudicare con severità chi decide di accettare stipendi da fame. Ognuno ha la propria storia. Ma non ditemi che tutti quelli che restano in Italia sono rimasti a combattere anche perché tralasciando chi accetta o deve accettare condizioni da schiavismo siamo sicuri che chi dice di voler combattere per dei miglioramenti non contribuisca in realtà alla rovina dell'Italia? Come mai sono tutti combattenti e le cose non migliorano? I conti non tornano. I piccoli evasori ci sono ancora. Le raccomandazioni e i concorsi truccati ci sono ancora. I professionisti che ti dicono 80 senza fattura e 100 con la fattura ci sono ancora. Gli incivili che non ti fanno passare sulle strisce pedonali ci sono ancora. I falsi invalidi ci sono ancora. I negozianti e i tassisti che dicono che il POS è rotto e vogliono solo contanti per poter evadere le tasse ci sono ancora. Gli elettori che danno il proprio voto ai mafiosi in cambio di 50 euro ci sono ancora. E allora mi chiedo: ma con tutti questi combattenti come mai le cose non cambiano? Non è che i combattenti veri in realtà sono poche migliaia e il resto sono milioni di persone? 

sabato 15 settembre 2018

"In Italia funziona così"

In questi giorni in Italia si parla molto della chiusura domenicale dei centri commerciali.
Cassieri e commessi sono a favore del provvedimento perché. dicono, la domenica è fatta per  la famiglia. E tantissimi Italiani sono d'accordo con loro:  il centro commerciale aperto di domenica o durante le feste è nocivo per la famiglia. Ci sono alcune cose però che a me non tornano, ma forse è solo perché ormai la mia mente che si è americanizzata.

Ma vi racconto la mia esperienza perché uno dei primissimi lavori che ho fatto qui negli Stati Uniti è stato proprio il cassiere in un CVS ovvero un noto supermercato-farmacia. Ricordo che durante il colloquio di lavoro mi chiesero in quali giorni e in quali orari fossi disposto a lavorare. In seguito avrei capito che lo chiedono tutti, almeno negozi e banche, o al colloquio o tramite l'application form. In questo modo il negozio sa già su quali degli impiegati assunti può contare durante la domenica.
Per quanto riguarda le feste nazionali si decide qualche giorno prima.
Pochi giorni prima di Natale il manager chiese a me e ad altri ragazzi se fossimo disposti a lavorare il 24 o il 25 dicembre. Ovviamente non entrambi i giorni, ma uno dei due. Il 24 sarebbe stato pagato una volta e mezza e il 25 il doppio. Io dissi che ero disposto a lavorare il 24, anche perchè avrei finito in tempo per andare alla cena della vigilia di alcuni parenti. Altri dissero di essere disponibili a lavorare il 25. Tutto molto facile. Chi non poteva né il 24 né il 25 non veniva guardato male o licenziato.

In realtà il manager non aveva mai problemi di mancanza di personale perché a molti fa gola guadagnare la paga oraria per una volta e mezza o addirittura per due. Se guadagni 10 dollari all'ora e in una giornata porti a casa 80 dollari, non è proprio male se lavori il 25 dicembre e ne porti a casa 160. Anche perché solitamente chi lavora come cassiere non guadagna molto, sono ragazzini, ragazzi che non hanno potuto studiare all'università, signore di una certa età che lavorano part time anche se sono andate in pensione. Il laureato in America, non lavora come cassiere, è già in qualche ufficio a guadagnare 3 o 4 volte la paga di un cassiere. Insomma il manager deve sempre cercare di accontentare tutti quelli che liberamente si dicono disponibili: ok il 24 faccio lavorare te e il 25 il tuo collega.

E se nessuno fosse disponibile? Può capitare che tutti i cassieri abbiano già organizzato delle vacanze. Nessun problema. Il manager fa un giro di telefonate anche agli ex cassieri per chiedere se sono disposti a fare una sola giornata ma pagata bene. Qualcuno, credetemi, lo trova sempre. Flessibilità sul lavoro.

In Italia invece mi pare tutto più rigido ma mi hanno colpito i due motivi principali di chi si oppone alle aperture domenicali e festive:
In Italia non ti pagano di più se lavori di domenica o i festivi!
In Italia se ti rifiuti cercano di licenziarti!

Quindi mi state dicendo che negli Usa, terra della precarietà i lavoratori vengono trattati meglio che in Italia,  terra dei diritti sindacali? La cosa curiosa è che nessuno ha minimamente in mente che dovrebbero pagare di più e che dovrebbero lasciare la libertà al lavoratore di dire di no, senza conseguenze. E invece no, si oppongono perché in Italia è così: sfruttamento, paga regolare anche domenica e festivi e minacce di licenziamento se ti rifiuti.

Quindi riesco a capire le ragioni del rifiuto ma non riesco a capire e mi rattrista molto la frase rassegnata e arrendevole che ascolto ormai troppo spesso: In Italia funziona così. Invece di combattere contro queste ingiustizie si decide di chiudere tutto e di buttare il bambino con l'acqua sporca.

domenica 9 settembre 2018

Starbucks apre a Milano

Questo weekend Starbuck ha aperto le porte a Milano e molte persone hanno fatto la fila sin dalle 4am per entrare nella prima caffetteria italiana della iconica multinazionale di Seattle.
In breve tempo i social si sono riempiti di commenti di forte indignazione:
Che orrore!
Il caffè americano fa schifo!
Non potete chiamarlo vero caffè!
Ma come si fa a pagare 4 euro per quell'acqua sporca?
Se ne tornino in Usa, il vero caffè è l'espresso italiano dei nostri piccoli bar.
Chi sono quegli idioti che hanno fatto ore di fila per entrare da Starbucks? 

Insomma se vendiamo la Nutella a New York, il Parmigiano Reggiano a Tokyo e il Prosciutto di Parma a Mosca, la globalizzazione va bene ma se arriva Starbucks a Milano è un attacco alle nostre tradizioni culinarie.

La critica principale è sul prodotto caffè. Quello di Starbucks farebbe schifo e quindi perché andare a spendere i propri soldi li?
Chi critica Starbucks non ha capito che...non si va da Starbucks per il caffè. Starbucks non c'entra niente con il caffè. Si va da Starbucks per l'atmosfera, per le luci soffuse, i colori verde e marrone della natura, l'odore del caffè tostato, la musica jazz.
E soprattuto si va da Starbucks per il wi-fi gratis. Puoi entrare li, sederti ad uno dei tanti tavolini e stare li col tuo portatile per ore senza che nessuno ti chieda di ordinare. Sanno che per riconoscenza il cliente un dolce o un caffè lo comprerà in quell'arco di tempo e se anche non dovesse farlo, lo farà un altro giorno. Non c'è problema.

Io in inverno ci vado spesso.
E' un luogo frequentato da ragazzi e ragazze che vanno lì per studiare.
E' un luogo in cui gli amici si danno appuntamento per fare due chiacchiere e poi magari andare in qualche altro posto. E' un luogo in cui si fanno colloqui di lavoro. Anni fa sostenni il mio colloquio di lavoro proprio in uno Starbucks in un'atmosfera informale con il CEO della azienda che, tra parentesi, poi decise di assumermi. Forse anche per questo ci sono affezionato.
Qui non esistono le piazze all'italiana. Le piazze sono gli Starbucks.

Vi racconto un episodio divertente che mi accade da Starbucks qualche anno fa. Un pomeriggio ero lì con il mio macbook, seduto a un tavolone rettangolare attorno al quale c'erano altre 7-8 persone, ragazzi e ragazze che studiavano e facevano gli homework dell'high school e dell'università. Una ragazza bionda molta carina, sui 20 anni, mi chiede: Do you know Matt? E io: No I don't. La mia mente è strana e le rotelle girano sempre troppo in fretta e non so perché ma pensai che si riferiva a qualche suo amico che frequentava spesso quello Starbucks. Solo una volta uscito fuori realizzai che intendeva dire Do you know math? Conosci la matematica? E certo che la conoscevo, ho studiato al liceo scientifico! E ho seguito anche un corso al community college. Parafrasando Vasco Rossi ho perso un'altra occasione buona...colpa delle rotelle impazzite della mia mente. Insomma Starbucks è anche un luogo in cui si possono fare conoscenze interessanti...quando non hai la testa tra le nuvole.

Tornando alle polemiche io dico sempre Live and let live. Se il caffè di Starbucks fa schifo ed è troppo caro, gli Italiani, passata la moda, non ci andranno più e lo faranno fallire. Ma se  Starbucks riporta in Italia lo stesso concetto americano io scommetto che Starbucks avrà un grande successo proprio perché, ripeto, Starbucks non ha niente a che fare con il caffè. Il caffè è un dettaglio secondario e non lo si beve in piedi in due minuti come al bancone di un bar italiano. Si va da Starbucks per l'atmosfera. E per trascorrere qualche ora di relax.

Comunque che siate Starbucks-lovers o Starbucks-haters vi lascio con questo interessante video in cui il fondatore di Starbucks racconta di come trasse ispirazione proprio dai bar italiani.

Starbucks Journey to Milan:


lunedì 27 agosto 2018

Laureati americani e la vita in discesa

Una delle grandi differenze che ho notato subito tra l'Italia e gli Usa, e che mi colpisce ancora oggi, è la vita dei giovani tra i 20 e i 30 anni. Ne ho parlato già in qualche post ma vorrei fare un paio di altri esempi, molto recenti. 

Nella mia compagnia c'è una ragazza sui 22 anni,  laureata da poco, che sta terminando i suoi 3 mesi di internship. E' una ragazza che si è laureata, ripeto, a 22 anni. Le scuole superiori in USA durano 4 anni, un corso di laurea dura  4 anni,  non esiste il fenomeno del fuori corso e quindi i ragazzi si laureano a 22 anni. Non 25, non 26, non 27 come in Italia (alcuni miei amici si sono laureati oltre i 30), no...22 anni e in molti casi anche 21. Tempo fa andai alla cerimonia di laurea di un mio amico in un palazzetto dello sport. Durante il suo discorso, pieno di lodi e incoraggiamenti per il futuro, il rettore disse che l'età media dei laureati della sua università era tra 21 e 22 anni. Pensavo di non aver sentito bene ma era proprio così. E pensare che in Italia mi sono laureato a 27 anni (vabbè, cari lettori, dai ho perso un anno con il servizio civile, eh). E non è un caso se le università americane in questi giorni,  anno 2018, accoglieranno le nuove matricole con i cartelli di "Benvenuti, laureati del 2022". Perché è normale. E'  matematica 2018 + 4 fa 2022. 

Insomma, questa ragazza ci raccontava che durante i 3 mesi di internship ha sostenuto vari colloqui e alcune aziende sembrano interessate ad assumerla. Le hanno detto di farsi risentire alla fine dell'internship (tra parentesi ben pagato). Ci raccontava poi che vive con il suo ragazzo e dividono l'affitto. Spero di trovare un lavoro al più presto - ci ha detto - ma sono ottimista. Mi scoccerebbe non vedere un paycheck il prossimo mese sul mio conto bancario e dover ricorrere ai miei risparmi. 
Insomma il problema di questa ragazza è solo evitare di usare i suoi risparmi per un mese d'affitto. Non pensa che potrebbe trovare lavoro tra 4, 5, 6 mesi. A New York? Il suo obiettivo è trovare lavoro nel giro di una o due settimane perché è così che funziona. Sei laureata, hai fatto un internship e già qualche colloquio? Al massimo un mese e stai già lavorando. Almeno a New York. 

Il figlio di un mio conoscente ha 25 anni, si è laureato qualche anno fa, ha proseguito con il Master's e ora sta facendo ricerca in un'importante università della West Coast, neanche una delle più importanti. Poche settimane fa è andato a Boston ad una conferenza per presentare le ricerche del suo team.   C'erano anche i rappresentanti di alcune aziende chimiche e uno di loro è rimasto colpito da quel giovane brillante. Il giorno dopo gli hanno mandato un'email con una proposta di lavoro. 120mila dollari l'anno per iniziare. Lui ci ha pensato un giorno e ha rifiutato. Vuole proseguire con le ricerche. Altre offerte, lo sa, arriveranno in futuro. E tra parentesi è ben pagato per la sua attività di ricerca. 

Sono solo due esempi di giovani americani poco più che ventenni che hanno indubbiamente la vita in discesa. Ma ciò che colpisce è che non sono dei geni. Sono semplici ragazzi laureati, con un'intelligenza nella media, come tanti ce ne sono in Italia. Ho centinaia di amici che sono anche più svegli di questi ragazzi americani che a 25 anni guadagnano già tanto e hanno una carriera avviata. Solo che purtroppo in Italia arranchiamo con lavori sottopagati e iniziamo a lavorare molto più tardi di loro.   
Ci sono delle eccezioni anche qui, io parlo della East e della West Coast, le zone più ricche e meritocratiche d'America, però in linea generale la condizione lavorativa dei giovani è di gran lunga migliore in America. E i giovani laureati italiani che si trasferiscono in America? Non i ricercatori geniali ma quelli che definirei "normali, nella media"...come me? Beh ho notato che certamente veniamo trattati molto bene ma rispetto agli americani veniamo comunque messi su un gradino inferiore. Sicuramente siamo contenti di percepire stipendi il triplo o il quadruplo rispetto alle stesse posizioni lavorative in Italia ma siamo pur sempre stranieri e qui in Usa la nostra carriera è un pò "frenata" e i nostri stipendi più bassi. Almeno se lavoriamo in aziende italiane gestite da italiani. Ma di questo, magari, ve ne parlo in un altro post.  

domenica 6 maggio 2018

Il museo della pizza a New York

Apre ad ottobre il museo della pizza a New York e la notizia ha subito scatenato polemiche tra cloni dei pizzaioli più importanti di Napoli che si sono riuniti per protestare.
In questo breve video i punti salienti della protesta:


Devo dire che sono rimasto perplesso e mi sono posto alcune domande.
Una tra le obiezioni più forti è che la vera pizza è napoletana e quindi il museo non dovrebbe avere sede a New York anche perché ..."gli Americani già pensano che la pizza l'hanno inventata loro..." e  quindi chissà quale scarsa importanza daranno alle vere origini partenopee del piatto italico famoso in tutto il mondo. E magari esporranno anche la pizza con l'ananas?
Io penso che solo un Americano su cento possa pensare che la pizza sia nata in Usa e quindi l'obiezione dei pizzaioli napoletani è molto debole. Inoltre penso che il museo darà un degno risalto alle origini napoletane della pizza, magari mostrando anche il modo in cui la pizza si è evoluta o meglio si è adattata e viene servita in diversi luoghi del mondo, compresi gli Usa. Compresa la pizza con l'ananas.

Queste sono solo mie supposizioni e mi riservo di ritornare sull'argomento dopo aver visitato il museo ad Ottobre ma mi chiedo: ha davvero senso fare una protesta senza neanche sapere  come sarà il museo? E se questa ottima idea l'hanno avuta e l'hanno realizzata a New York, a cosa serve fare il piagnisteo vittimista? Ho letto anche commenti di chi sostiene che questa è un'altra cosa italiana che sfruttano in Usa per arricchirsi. A parte che il museo devolverà gli incassi in beneficenza ma che ragionamento è? Allora ogni Paese può avere musei solo delle proprie opere d'arte?
A me sembra una protesta infantile di chi piange verso chi fa. Con un pò di invidia. Adoperatevi per fare un museo della pizza anche a Napoli, pizzaioli napoletani, e pazienza se New York vi ha battuto sul tempo. Siete sempre in tempo per recuperare e fare molto meglio di loro.

Più di un pizzaiolo "incazzato" ha detto che a New York dovrebbero fare il museo dell'hamburger, non della pizza. Quindi museo della pizza solo a Napoli, museo dell'hamburger solo a New York. Ipotizziamo invece che facessero un museo dell'hamburger a Napoli.  Come reagirebbero i ristoratori americani? Sicuramente sarebbero contenti e incuriositi. "Ah really?" - direbbero -  "Very nice!",e non ne sarebbero preoccupati. E se pure in quel museo falsassero la realtà dicendo che gli hamburger li hanno inventati a Napoli, i ristoratori americani si farebbero una risata e continuerebbero a vivere.  

Voi cosa ne pensate? Protesta sterile e vittimista o protesta sensata a difesa del made in Napoli?


mercoledì 25 aprile 2018

Il controllo sociale che viene dal basso

Ogni sera che arrivo a casa faccio un breve tratto in macchina di venti minuti (dalla stazione a casa). In quell'intervallo di tempo solitamente mando qualche messaggio audio su whatsapp ad amici e parenti. Oggi ero fermo al semaforo e stavo registrando un audio messaggio quando il conducente della macchina alla mia sinistra abbassa il finestrino per dirmi qualcosa.
E che vuole ora da me questo? - mi chiedo - mentre abbasso il finestrino.
Don't text and drive, buddy! 
I was not texting - rispondo.
You were reading on your phone - mi fa.
Poi il semaforo è diventato verde e siamo ripartiti.
Il tono del suo rimprovero non era antipatico o arrogante. Era un signore distinto sulla cinquantina che ovviamente non poteva sapere che stavo solo registrando un audio ma in effetti avevo il cellulare nella mano destra e la sola mano sinistra sul volante e quindi il suo appunto aveva una sua ragione d'essere e non me la sono presa. Anzi mi sono stupito con me stesso per il modo in cui l'ho recepito. Onestamente per un secondo mi ha dato fastidio ma poi ho subito pensato: beh si in effetti ha  ragione.

Tempo fa, credo di averlo raccontato in un altro post, ero con un amico in una carrozza silenziosa di un treno diretto a New York. Non notiamo il cartello "quiet car" e iniziamo a chiacchierare a voce alta al che un signore ci fa notare che ci trovavamo in una carrozza silenziosa, e dopo un attimo di stizza Ma guarda te, adesso non si può neanche parlare in treno abbiamo capito il rimprovero e siamo stati praticamente in silenzio fino all'arrivo. La stessa scena l'ho vista poche settimane dopo sempre in  treno: mamma e figlia si siedono di fronte a un signore e iniziano a mangiare e a parlare ad alta voce. Il signore gli fa notare che si trovavano in una carrozza silenziosa e gli mostra il cartello, e mamma e figlia, che non ci avevano fatto caso, chiedono scusa e vanno in un'altra carrozza (non quiet car) in cui si può parlare.

Questi esempi per far notare una caratteristica diffusa e che fa molto piacere. Nonostante sia un Paese con molta violenza, un sistema sanitario assurdo, l'università accessibile solo ai più ricchi gli Stati Uniti sono un luogo in cui si vive bene la quotidianità perché che c'è un alto senso civico e il controllo sociale viene dal basso. Se una persona fa qualcosa di sbagliato, sono le altre persone attorno a farglielo notare. Gli Americani, infatti, non aspettano l'intervento delle forze dell'ordine, del vigile, del controllore. Agiscono in prima persona senza troppe esitazioni.  E poiché il rimprovero arriva dalle persone comuni, da pari a pari, coglie subito nel segno. Diciamo la verità, quanti di noi in Italia avrebbero il coraggio di abbassare il finestrino e di dire a uno sconosciuto che non dovrebbe mandare messaggi al volante? E quanti di noi farebbero notare alle persone rumorose di abbassare la  voce perché sono in una carrozza silenziosa? Dobbiamo ammettere che noi Italiani, per quieto vivere, preferiamo farci i fatti nostri e sopportare forse perché verremmo aggrediti, o  forse perché in realtà non abbiamo davvero uno spiccato senso civico.  Passiamo sopra alle cose e attendiamo un intervento "dall'alto". Ci sentiamo spettatori e non parte attiva della società e deleghiamo. 

Ecco, devo dire che sono contento di vivere in un Paese in cui il controllo sociale viene dal basso e ogni giorno ti insegnano a rispettare gli altri, anche con dei rimproveri che magari al momento possono non piacere. E credo che questa mentalità derivi da una consapevolezza più grande ovvero ogni persona qui si sente artefice del proprio destino, parte integrante della società, e quindi anche i piccoli problemi vanno risolti all'istante per il bene comune, con spirito pragmatico. Anche perché se si aspettano gli aiuti dall'alto, questi aiuti potrebbero non arrivare o arrivare troppo tardi.  E i problemi qui li risolvono alla radice. Here and now. Senza aspettare.   

sabato 21 aprile 2018

Intruder on my property

Ciao a tutti, come qualcuno di voi forse ricorda, sono iscritto a Nextdoor.com, il social network dei   vicini di casa in cui chi abita in un determinato quartiere o città dà consigli, suggerimenti o avvertimenti agli altri, di questo tipo:
Qualcuno sa consigliarmi una buona agenzia di lavoro?
Sapete se ci sono locali in cui suonano band dal vivo?
Ho visto un'auto sospetta aggirarsi nel nostro quartiere. State attenti a un'auto targata....
Vendo/regalo una scrivania perché mi sto trasferendo in un'altra città. 

A me piace molto questo social network "ristretto" anche perché tutti si aiutano e sono molto gentili, non esistono haters e si respira la vera America nella sua quotidianità. 
Ieri tra i tanti post, ho letto questo:

INTRUDER ON MY PROPERTY
At around 9:30/10:00 this morning there was a man at my back patio door staring into my house at me for several minutes while I was on the phone with 911 (at least 10 minutes). He waved fingers under his chin at me with weird grin on his face, He would not leave my back door. Never tried to talk to me ........ Clearly saw I was on my house phone, I actually waved phone at him, assuming he knew I called 911. I have reported this information to the police.
Description of person involved – Hair: dark brown/black hair , on shorter side, Top: black hoodie, sweat shirt, Bottom: gray sweat pants, Shoes: dark sneakers (i think), Age: late 20's or 30's, Build: around 6 feet, more stocky than slim, Race: white, Sex: male, Other details: cell phone Description of vehicle involved – Color: black, Type: SUV, License Plate: CT, Other details: made right on Rock Rmmon , from briar brae. possible cadillac emblem on hood of car.

Uno strano uomo (forse con problemi mentali o sotto effetto di droghe) è entrato nella proprietà di un vicino di casa e non andava via neanche dopo aver visto che c'era qualcuno in casa, alla finestra. Il padrone di casa ha aggiunto in alcuni commenti che aveva paura di uscire ed affrontare l'intruso  e non ha voluto fare foto o video allo strano uomo per paura di una sua reazione. Ha però chiamato la polizia che è arrivata 10 minuti dopo quando però purtroppo lo strano uomo era da poco andato via. E non sono riusciti a trovarlo.

I commenti a questo post sono stati per me molto interessanti. Tra i tanti mi hanno meravigliato quelli di chi diceva che 10 minuti sono un tempo troppo lungo per l'arrivo della polizia dal momento della telefonata. E molti erano d'accordo. Alcuni dicevano che pagano tante tasse per vivere in questa città e dovrebbero considerare di mettere anche una sede della polizia nella nostra zona (è una zona residenziale "tra i boschi", un pò isolata o meglio a 15 minuti di macchina dal centro della città), altri dicevano che erano più sereni sapendo di avere un'arma in casa, qualcuno ha tirato fuori il 2 emendamento, si è scatenata una breve ma civile discussione su armi si, armi no, meglio avere un taser o uno spray per orsi, e una signora ha raccontato che anche lei è contenta di avere un'arma perchè spesso il marito è in viaggio per lavoro e lei resta sola in casa con i propri bambini.

Ma non voglio parlare di armi, torniamo ai 10 minuti...10 minuti sono un tempo troppo lungo dalla telefonata all'arrivo della polizia? Eh si per molti Americani si, perché in effetti, almeno nella mia città, molte auto della polizia sono sempre in giro per le strade della città e spesso riescono ad arrivare anche in meno di 10 minuti.

Mi è tornato in mente un episodio di quando vivevo in Italia. Io e mio fratello guardavamo la tv, al mio paese del sud Italia, ed era molto tardi, passata la mezzanotte. Un paio di amici che vivevano in zona quella sera si annoiavano e decisero di farci uno scherzo. Sapendo che io e mio fratello eravamo in cucina a guardare la tv, arrivarono alla finestra, chiusa, e fecero finta di alzare la serranda dall'esterno e poi scapparono via.  Io e mio fratello aprimmo subito la finestra e vedemmo qualcuno che correva. Dei ladri! - pensammo. Chiamammo i carabinieri, che ha la sede a pochi minuti da casa (la polizia invece sarebbe dovuta venire da un altro paese), e spiegammo che qualcuno aveva provato ad entrare in casa ed era scappato via. Ci risposero che la macchina dei carabinieri era in giro e che li avrebbero subito allertati per farli venire a controllare. Nel frattempo uscimmo fuori per assicurarci che non ci fosse più nessuno attorno casa. Non vedemmo nessuno, ci rasserenammo e tornammo in casa. Ecco, voi ci credete che i carabinieri non arrivarono né dopo 10 minuti, né dopo 20, né dopo due ore, né il giorno seguente? Ce ne andammo a dormire con in mente più con il mistero dei carabinieri che quello dei potenziali ladri.

Per la cronaca qualche giorno dopo scoprimmo che si era trattato di uno scherzo e scoprimmo gli artefici e ricambiammo dopo qualche giorno con un altro scherzo ma il mio punto è...capite ora perché amo vivere in questo Paese? E' solo uno di centinaia di esempi che potrei fare. Voi non vivreste più sereni in un luogo in cui la polizia arriva in meno di 10 minuti e ci si indigna se ce ne impiegano di più? Ora mi direte che...però in Italia non sono tutti armati...però l'Italia non è violenta...però nessuno ti entra in casa...però in Italia si vive in pace, amore e serenità. Si certo forse 20 anni fa. PERO' non è assurdo vivere in un luogo in cui se chiami i carabinieri per un'urgenza non arrivano mai? E se si fosse trattato di rapinatori armati? Scusatemi, ma preferisco vivere qui. 



martedì 17 aprile 2018

Beati i giovani americani

Domenica scorsa stavo facendo un giro senza una meta specifica a Manhattan e sono passato davanti alla NYU, la nota New York University, una delle migliori università americane. C'erano centinaia di ragazzi con genitori e parenti in fila per entrare nella sede centrale, probabilmente in un mega teatro, per il giorno di benvenuto alle matricole. Sulla porta di entrata una scritta che mi ha fanno riflettere su una differenza tra l'università  in Italia e negli Stati Uniti:





NYU welcomes the class of 2022.  La NYU da il benvenuto ai laureati del 2022.
Avete capito? E' il 2018, i corsi durano 4 anni. Le matricole di oggi saranno i laureati del 2022. Matematico, ovvio, palese. Non ci sono dubbi.
Qui il sistema universitario è organizzato in un modo tale che non esiste il fuori corso. Io ho frequentato sia l'università italiana che quella americana (ok era un community college, che qui è considerato un tipo di università un pò più facile rispetto alle università prestigiose) e ho notato questa differenza. Io stesso sono andato al terzo anno fuori corsi in Italia (comprendendo la tesi la tesi per la quale i prof mi hanno fatto fare ricerche per un anno) mentre in Usa ho seguito un corso universitario di 2 anni e ho preso una laurea breve in...2 anni. Sono diventato un genio in Usa? No, semplicemente l'università americana è molto pragmatica. Il voto viene costruito durante i corsi con esami, prove e presentazioni. Gli esami sono quasi tutti scritti e a scelta multipla e corretti al computer (un pò come le vecchie schedine del totocalcio) e contrariamente a quanto pensassi, possono essere strutturati in modo che non sia facile dare la risposta esatta a fortuna. Se non hai studiato, la risposta non la indovini se hai 5 o 6 possibilità molto simili. Gli esami a simpatia e antipatia di molti professori cinici italiani qui in Usa non sono possibili. I professori non hanno potere, non possono influire sul voto e non possono giudicare uno studente da due veloci domandine orali. Quindi, considerando che le scuole superiori americane durano solo 4 anni e considerando che per il Bachelor's non è prevista una tesi all'italiana, forse solo una tesina di poche pagine, qui a 21-22 anni i ragazzi sono già laureati e a 23 iniziano a lavorare e a rendersi indipendenti. E io li invidio. Noi in Italia per colpa di un sistema universitario che consente di impigrirci, a 28-30, se non oltre, rischiamo ancora di trovarci impantanati all'università. E iniziamo a vivere una con indipendenza con 5-10 anni di ritardo rispetto ai giovani americani. Che dire, beati loro. 

lunedì 9 aprile 2018

Un'operazione costosissima

Oggi vorrei tornare a parlare brevemente del sistema sanitario americano con un breve dialogo avuto pochi giorni fa con un parente. Qualche mese fa si è dovuto sottoporre a un delicato intervento alla testa, che per fortuna è andato bene, e giorni fa sono andato a fargli visita. 

Dopo qualche chiacchiera gli ho chiesto: Allora quanto ti è costata questa operazione? 
E lui: 225 mila dollari.
Io: Wow, 225 mila! Cifre astronomiche qui in Usa. In altri Paesi avresti pagato molto meno. Ad esempio in Canada.
Non ho voluto fargli l'esempio dell'Italia perché conoscendolo da buon italo americano che ama parlare male dell'Italia avrebbe parlato delle nostre inefficienze e quindi ho citato il Canada. 
E lui: Eh ma io non andrei mai ad operarmi in Canada o peggio ancora in Italia (ti pareva che non doveva tirare fuori l'Italia) dove ad esempio non puoi sceglierti tu il dottore.
E io: In Italia? Chi te lo ha detto. Puoi scegliere il dottore o il chirurgo che vuoi. Tante persone dal Sud vanno a operarsi al Nord perché molti ospedali del Nord sono migliori. Comunque 225mila per un'operazione mi sembra davvero una cifra altissima.
E lui: Beh si in effetti in Usa non è che sia un bel sistema. Per questo dico sempre che bisogna farsi una buona assicurazione, così si è al sicuro. A cosa serve risparmiare qualche migliaia di dollari prendendo un'assicurazione scarsa? Se poi succede un'emergenza cosa fa? per fortuna ho pagato solo 5mila per questa operazione.
E io: Eh si meno male, ma quello che voglio dire è che comunque qualcuno ovvero la tua assicurazione ha tirato fuori 220mila dollari per questa operazione e a me sembra davvero eccessivo. 

Ma questa mia obiezione non ha suscitato grande interesse, come se fossero parole vuote, che non comprendeva davvero. Insomma ho capito che chi sta dentro al sistema non riesce a pensarne a un altro. Qui non trovano scandaloso che un'operazione possa costare quanto una casa. Per loro è normale, non hanno mai visto prezzi diversi. E' un sistema accettato e per quello bisogna avere una buona assicurazione. E se poco poco qualcuno cerca di suggerire che però ci sono nel mondo altri tipi di sistemi più umani dove la sanità è universale e lo Stato interviene per consentire che tutti si possano curare anche per i mali più difficili da curare, molti tirano fuori la parolina: eh ma questo è un sistema "socialista"! Ovvero il male assoluto. Oppure vogliono convincerti e convincersi che si qui il sistema sanitario costa ma i medici e i macchinari sono all'avanguardia. Vorrei fargli capire che sono all'avanguardia anche in molte altre parti del mondo dove per per un'operazione però si paga solo la decima parte. Forse un giorno ci riuscirò. 

venerdì 6 aprile 2018

E' libertà...? 4 domande di un lettore sugli Usa

Molto spesso chi emigra in un altro Paese si trova a fare paragoni tra l'Italia e il nuovo Paese ospitante. C'è chi sottolinea troppo gli aspetti negativi dell'Italia e chi sottolinea troppo gli aspetti positivi del nuovo Paese. Io ho sempre cercato di raccontare l'America e l'Italia in modo obiettivo, facendone risaltare pregi e difetti.
Un affezionato lettore, forse un pò infastidito da qualche mio post troppo a favore degli Stati Uniti (non c'è problema accetto le critiche e sono pronto al dialogo costruttivo) mi ha posto 4 domande interessanti che mi hanno dato lo spunto per parlare di aspetti che non piacciono molto neanche a me degli USA ma anche di alcuni luoghi comuni da sfatare.

Ecco le 4 domande:

È libertà morire se non hai un'assicurazione sanitaria e sei povero?
No, non è libertà. Ho dedicato molti post sul sistema sanitario americano che io odio e alle mie disavventure dal dentista e del fatto che una volta che esci dallo studio dentistico non sai mai quanto pagherà l'assicurazione e quanto tu. A me non piace proprio il sistema delle assicurazioni, i prezzi gonfiati dai medici, le assicurazioni che cercano di pagare il meno possibile e il resto...al paziente. E' tutto un grande business e in casi limite si può essere costretti a vendere casa o chiedere migliaia di dollari in presti per poter pagare delle cure costose. E' un sistema poco umano, lo so e lo dico spesso. Non bisogna però cadere nell'esatto opposto. E' una leggenda metropolitana che lasciano morire per strada chi non ha l'assicurazione medica. E comunque esistono anche gli ospedali pubblici che non sono all'avanguardia come quelli privati ma ci sono e stranamente i media italiani non ne parlano mai. In questo sistema i ricchi non hanno problemi ma neanche i poveri. Chi ha i veri problemi è la classe media. Poi dovremmo fare anche un'altra considerazione. Ma è proprio vero che la sanità in Italia è gratis? In Italia le tasse sul reddito sono molto più alte che in America e servono per pagare anche il sistema sanitario. A me piacerebbe un sistema sanitario più giusto e umano all'italiana ma se un giorno dovessero farlo state certi che pagheremo tutti tasse più alte.

È libertà essere sparato in faccia da uno psicotico che ha accesso facile alle armi? 
No, per il problema delle armi sfondi una porta aperta. E' un grosso problema da risolvere ma la lobby delle armi è molto forte. Qualche settimana fa inaspettatamente Trump ha proposto di portare la vendita delle armi a 21 anni perché ora alcune armi possono essere acquistate già a 18 anni. E' una piccola proposta ma ho ascoltato e letto due obiezioni che fanno capire molto della mentalità americana:
Obiezione 1: Io sono una ragazza che ha meno di 21 anni e vivo da sola (eh si qui è molto frequente che un giovane di 18-19-20 anni abbia già un lavoro e possa permettersi di vivere da solo pagandosi un affitto). Voglio il diritto di avere un'arma in casa per difesa. Se entra qualche malintenzionato, come mi difendo?
Obiezione 2: Perché un ragazzo di 18 anni può usare armi in guerra per difendere il nostro Paese ma non può avere un'arma per difendere la propria  famiglia sul suolo Americano?
La mia proposta, un pò strana, sarebbe semplice. La pistola deve essere usata solo in casa, per difesa. Deve essere minuta di un chip che allerta la stazione della polizia più vicina appena varca la soglia di casa. O che magari si disattiva, si blocca, appena varcata la soglia di casa. Qui se chiami la polizia, arriva dopo 5 minuti. Forse un sistema del genere, mi rendo conto un pò fantasioso, potrebbe prevenire molte stragi. 

È libertà non poter accedere a università prestigiose perchè magari non te lo puoi permettere? 
Altro punto dolente. Ho frequentato due anni di community college a 8mila dollari l'anno. Per fortuna mi hanno dato due borse di studio per la media alta (3mila dollari in totale) e mi hanno fatto lavorare in un ufficio del college, part time. Però si tratta di un community college. Le università prestigiose costano anche 50-60 mila dollari l'anno. Per pagarle ci sono due modi, o una combinazione dei due: i genitori benestanti-ricchi mettono da parte i soldi per l'università appena nasce un figlio o i ragazzi chiedono prestiti alle banche che ripagheranno nel giro di molti anni dopo la laurea. E' vero che se sei bravo ti danno borse di studio di migliaia di dollari. A una mia cugina, che ha fatto delle scoperte scientifiche già al liceo hanno dato tanti di quei soldi che è riuscita a pagarsi 4 anni di Harvard...ma sono casi rari. E' anche vero che se studi in quelle università poi quando esci hai praticamente un ottimo lavoro garantito, con stipendio molto alto ma stanno cambiando i tempi e non è sempre così. Comunque capii molto degli Usa e del sistema universitario quando andai a Yale a fare un giro, il giorno prima dell'inizio dei corsi. Rimasi stupito dal vedere l'altissima percentuale di ragazzi e ragazze bianche accompagnati dai ricchi genitori con le loro macchine di lusso. Il testimone della classe dirigente passerà da quei genitori ai loro figli. 

È libertà dover fare magari 2 lavori per tirare a campare quando ci sono manager che prendono in un mese quanto un lavoratore guadagna in una vita.
Le disparità sociali esistono e si acuiscono ogni anno di più. Se considero il sistema americano a quello italiano però devo dire che in Usa non ci sono limiti verso l'alto. Gli stipendi dei grandi manager sono qualcosa di scandaloso. Ma in Italia non ci sono ormai limiti verso il basso. In Usa esiste il minimum wage, e anche per la mia posizione lavorativa, prima di concedermi il visto di lavoro, la compagnia ha dovuto accettare di attenersi a un salario minimo stabilito dal dipartimento del lavoro, per quella posizione. In Italia molti miei amici mi dicono che ormai vengono pagati in nero, 500-600 euro al mese. I metodi per farlo li trovano sempre. Non ci sono controlli. Lo ho provato sulla mia pelle quando, tornato in Italia, volevano offrirmi uno stipendio del genere. Ma come si fa a programmare una vita così? Poi vengo in Usa e mi offrono circa 8 volte tanto e allora come faccio a voler bene all'Italia e a odiare gli Usa quando si parla del mondo del lavoro? Qui posso avere un futuro. In Italia avrei fatto la fame o mi sarei dovuto far mantenere dai miei genitori. Scusate ma non fa per me. E non è un caso se ogni anno centinaia di migliaia di ragazzi emigrano dall'Italia. Ok il lavoro non è tutto ma per questo aspetto io comunque penso che siano molto più avanti in America. Non conosco molte persone che fanno due lavori in Usa ma se lo fanno vuol dire che il lavoro ce n'è. In Italia ne trovi uno e vieni sottopagato e schiavizzato. Parliamo giustamente spesso dei senzatetto americani ma i nostri ragazzi a 500 euro al mese non sono poveri uguali ma con la fortuna di avere sopra la testa un tetto di mamma e papà? Toglietegli quel tetto e avrete centinaia di migliaia di barboni, più che in Usa.

Insomma spesso sono d'accordo sulle critiche al Paese in cui vivo. Queste sono domande che mi pongo spesso anche io. Ma dopo oltre 10 anni di vita quotidiana ho dovuto mitigare le critiche perché ci sono le classiche sfumature e molto spesso queste vengono filtrate e restano fuori dai media italiani molto propensi ad accentuare solo gli aspetti negativi di questo Paese che non sarà il Paradiso ma neanche l'Inferno che vogliono far credere.

sabato 31 marzo 2018

Take your pills

Una delle prime cose che notai appena arrivato negli Stati Uniti fu la passione degli Americani  per pillole e vitamine. Durante le prime settimane  me ne andavo in giro ad esplorare i loro "monumenti commerciali": Walmart, Starbucks, Home Depot, McDonald's, Dunkin Donuts. Erano a me sconosciuti e quindi entravo per esplorare e capire cosa venisse venduto al loro interno. Tra questi negozi mi incuriosì uno un pò meno diffuso, ma comunque presente in molte città: Vitamin Shoppe. Entrai e c'erano  centinaia di scaffali pieni di barattolini di pillole e vitamine, di ogni tipo e per qualsiasi problema. Un tipo di negozio che non avevo mai visto in Italia nel lontano 2004. E mi stupì perché non riuscivo a capire come potesse sopravvivere un negozio dedicato a quei soli prodotti. Ma ero un ingenuo e non conoscevo bene la mentalità americana.
A parte il negozio, nei giorni successivi mi stupì il fatto che ogni mattina, conoscenti e parenti, assumevano pillole e vitamine in grande quantità. In Italia avevo al massimo preso delle aspirine per il mal di testa non avevo mai considerato di prendere vitamine ma qui tutti ma proprio tutti ne facevano un largo uso quotidiano.

Ma la cosa che mi ha incuriosì più di tutte fu l'ADD e l'ADHD. Non ne avevo mai sentito parlare prima in Italia ma qui ogni tanto tirava fuori queste due parole, in particolare modo l'ADD.
Un giorno, dopo aver dimenticato delle chiavi in casa, una zia per prendermi in giro mi disse: Mi sa che tu hai l'ADD! Al che le chiesi: Scusa zia, ma cosa è precisamente questa ADD di cui parlano tutti? E mi spiegò che è un disturbo dell'attenzione che hanno molti bambini e anche gli adulti.
Per la precisione l'ADD è un disturbo dell'attenzione (Attention Deficit Disorder) e l'ADHD è un disturbo dell'attenzione connesso all'iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder).
Pochi giorni dopo trovai a casa di questa zia un libro sull'ADD e mi misi a sfogliarlo.
La cosa che mi sorprese furono i sintomi di questo disturbo: Dimentichi le chiavi in casa? Potresti avere l'ADD. Dimentichi il nome di una persona conosciuta a una festa la sera prima? Potresti avere l'ADD. Dimentichi cosa hai mangiato a pranzo? Potresti avere l'ADD. Tuo figlio non ha voglia di fare i compiti e preferisce giocare a PlayStation? Potrebbe avere l'ADD.

Insomma sei un pò distratto? Non riesci a concentrarti bene? Hai il disturbo dell'attenzione e dovresti curarti...acquistando le pillole magiche che risolvono il problema. Quando iniziai a dire che io "non credevo" in questa malattia molti Americani mi guardavano male dicendo che l'ADD è una malattia seria, che ce l'hanno tanti bambini, e che dovrei essere più rispettoso verso questo problema.
Io rincaravo la dose dicendo che a me sembrava un disturbo creato da qualche ufficio marketing ma loro non la prendevano tanto bene. Insomma non c'era verso di fargli cambiare idea o per lo meno di fargli prendere in considerazione che forse in Usa le pillole vengono overprescribed, come dicono qui. Negli anni seguenti cercai di non toccare l'argomento perché gli Americani possono diventare molto suscettibili se contrasti alcune certezze. Ma pochi giorni fa mi è capitato di vedere il documentario Take your Pills e mi si è riaperto un mondo e tutto quello che ho sempre pensato mi è  finalmente apparso su uno schermo, ben documentato con dati interessanti.

Il documentario fa luce su come disturbi del genere siano stati se non proprio creati sicuramente "pompati" ed esagerati dai media. E ciò è stato possibile proprio grazie a una certa mentalità americana volta alla competitività estrema. Sono riusciti a fare il lavaggio del cervello a far passare il messaggio che una pillola può risolvere tanti problemi e questa pillola si chiama Adderal. E' uno stimolante e può creare dipendenza. Viene assunta regolarmente da atleti, ingegneri, artisti, impiegati di Wall Street, ragazzi delle superiori e delle università e il suo uso negli anni è salito alle stelle.

Diverse categorie di persone quindi assumono l'Adderal per un unico scopo: competere meglio, avere un vantaggio, aumentare le prestazioni fisiche e mentali. Una ragazza universitaria sostiene ad esempio che va a fare un test "senza aiuto" potrebbe prendere B. Ma se prende l'Adderal si concentra meglio e può prendere A e quindi perché no? Inoltre prenderla è quasi un obbligo per non rimanere indietro perché se tutti l'assumono è bene che lo faccia anche lei.
E gli effetti collaterali? Ci sono, certo, la dipendenza può provocare insonnia, perdita dell'appetito, paranoia ma è il prezzo da pagare per competere al meglio.  

Il documentario ha in sostanza confermato le mie tesi. Sembra esserci stato un lavaggio del cervello negli ultimi anni e ora milioni di Americani reputano normale assumere pillole per ogni problema e tra queste una delle più amate è l'Adderal che viene prescritta con troppa facilità dai medici.

La cosa curiosa è ascoltare molti ragazzi che fanno discorsi (giustamente) severi contro il fumo e i fumatori ma allo stesso tempo poi si distruggono il cervello con queste "pillole per la competizione". Forse un giorno vedranno queste pillole per ciò che sono davvero? Un facile e pericoloso surrogato, una scorciatoia di cui non avrebbero bisogno e che fa solo arricchire le case farmaceutiche.

Concludo con un paio di dialoghi di Take your Pills che mi hanno fatto sorridere e riflettere.
Il primo è tra una madre e sua figlia e il secondo tra un neurologo e l'intervistatrice.

Madre: Ora che andrai al college ti servirà una cassetta di sicurezza.
Figlia: Per cosa?
Madre: Per le tue pillole.
Figlia: Ma che dici, chi mi ruberebbe mai le pillole?
(Illuminante come la figlia non dica: Ma che dici, a cosa mi servono le pillole? ma Chi mi ruberebbe mai le pillole? Perché è normale, chiunque vada al college deve assumere le pillole).

Neurologo: A volte scherzo sul fatto che quando ero all'università le persone assumevano droghe per evadere e ora lo fanno per non farsi escludere. E questo la dice lunga sulla nostra cultura odierna.
Intervistatrice: E cosa ci dice? Io lo trovo un pò deprimente.
Neurologo: (Ride) Probabilmente ci sono dei farmaci apposta. 
(Per non provare sensazioni deprimenti)

sabato 24 marzo 2018

Ricerca di un'appartamento...ma non è così facile

Parallelamente alla ricerca di un nuovo lavoro, quasi un hobby a tempo perso, da qualche tempo sono alla ricerca di un nuovo appartamento o meglio un appartamento da acquistare. In realtà non sono ancora pronto all'acquisto ma sto prendendo informazioni.
Vivo in affitto da oltre 10 anni e non mi sono informato prima d'ora per vari motivi. Innanzitutto perché fino a non molto tempo fa non ero in possesso di green card e quindi non aveva senso  acquistare un appartamento non sapendo se gli Usa mi avrebbero consentito di restare qui a vita. In secondo luogo non avevo soldi da parte, mentre ora ho una discreta base da poter mettere giù, to put down come dicono qui, anche se per il resto dovrò ricorrere a un mutuo ovvero il mortgage.
E poi un terzo motivo che mi fa temporeggiare ancora oggi è la mia nuova vita da pendolare in treno dal Connecticut a New York.

Prima che la mia azienda spostasse gli uffici a Manhattan impiegavo solo un'ora in macchina per andare in ufficio mentre ora ne impiego quasi due (venti minuti di macchina da casa alla stazione, un'ora di treno, dieci minuti di metro e venti minuti a piedi).
La domanda che faccio a me stesso da mesi è: conviene vivere in Connecticut e fare questa vita da pendolare o dovrei avvicinarmi di più a NY?

Ho guardato per molto tempo i prezzi degli appartamenti in affitto in zona NY e sono molo più alti del Connecticut e quindi da scartare. Ma anche la situazione acquisto è molto simile e ho notato ad esempio che se per un piccolo, ma comodo, appartamento in Connecticut devo pagare almeno 200mila dollari, con la stessa cifra a NY (ovviamente non Manhattan ma almeno Queens o Brooklyn) si trovano dei buchi e anche molto distanti da Manhattan, addirittura a un'ora di metro.

Considerando che i lavori con stipendi più alti si trovano tutti a Manhattan, ho pensato a varie cose in questi mesi:
1) Conviene avvicinarmi a NYC ma vivere in un buco di appartamento? E comunque per il mio budget potrei permettermi qualcosa di non proprio vicino a Manhattan
2) Certo però che avvicinarmi a NYC mi farebbe comunque risparmiare un pò di tempo per il commuting più breve. E il tempo è salute.
3) Ma è anche vero che a me piace vivere in una casa comoda e sono disposto, per questo, a un computing più lungo
4) Alla fine in treno posso dedicarmi alla lettura, una mia grande passione, o dormire il che allevia di molto il peso del commuting
5) E poi molte persone vivono in Connecticut e vanno ogni giorno a NYC per lavoro e se lo fanno loro posso farlo anche io
6) E se cercassi lavoro in Connecticut? Casa e lavoro in Connecticut, sarebbe perfetto. Ok i salari sono un pò più bassi ma ne guadagnerei in  tempo e salute e vivrei in un appartamento accettabile. Non certo un buco newyorkese.
Insomma dopo tutti questi pensieri mi sono quasi convinto che la soluzione ideale sarebbe acquistare in Connecticut e poi magari col tempo, chissà, trovare un lavoro in Connecticut che è pur sempre uno Stato ricco e pieno di aziende.

Dopo la mia "quasi decisione" ho iniziato ad andare ogni giorno su Zillow e Trulia per vedere foto e prezzi degli appartamenti in vendita e faccio spesso simulazioni su costi, mutui, interessi, percentuali, tasse e spese condominiali. E qui viene il bello. Le differenze con l'Italia : TASSE e HOA.

TASSE
Le tasse sulla casa sono molto più alte. Per un appartamentino di 70 metri quadri si pagano in media 3000 dollari l'anno, circa 300 al mese. Ho capito che è una scelta strategica del comune: non tassare molto le aziende che creano posti di lavoro e fanno girare l'economia e tassare di più (rispetto all'Italia) i cittadini che però grazie a queste aziende e ai loro stipendi medio-alti possono permettersi di pagare tasse più alte sulla proprietà di una casa. Ovvio che non tutti hanno un reddito alto ma in media molti proprietari di case o appartamenti in città non se la passano male per usare un eufemismo. 

HOA
Le spese condominiali variano da 300 a oltre 600 dollari al mese per gli appartamenti che ho adocchiato e solitamente comprendono tutto tranne l'elettricità e quindi acqua e riscaldamento, e in alcuni casi il portiere 24 ore su 24, un posto macchina, la pulizia degli spazi comuni e della neve, lavanderia, piscina, palestra e in rari casi anche la navetta che porta alla stazione. Sono una bella cifra e c'è da considerare anche l'assicurazione sulla casa da pagare a parte e che si aggira sui 100 dollari al mese.

Dopo tutte queste considerazioni, la più importante è che le spese fisse mensili TASSE+HOA+ASSICURAZIONE si avvicina ai 1000 dollari che è sostanzialmente la stessa cifra che pago ora per l'affitto e che mi consente di mettere da parte qualche centinaio di dollari al mese. Se consideriamo il mutuo quindi quel risparmio mensile si assottiglierebbe e si avvicinerebbe a zero (a meno che non riesca a trovare un lavoro con uno stipendio più alto). Certo avrei comunque un appartamento di proprietà e volendo, un giorno, potrei provare a rivenderlo e farci un guadagno ma conviene fare questo grande passo? O è meglio temporeggiare ancora un pò? 


lunedì 12 marzo 2018

Ricerca di un nuovo lavoro...ma non è così facile

Ciao a tutti, è ormai da un paio di anni che ho chiesto un aumento al mio capo e dopo tante sue belle parole e la promessa di un aumento sostanziale, che però deve essere approvato dalla sede centrale italiana, non ho visto ancora niente. Come forse sapete fino a poco tempo fa non potevo cambiare lavoro perché ero in attesa della green card e l'avvocato mi ha consigliato di restare con la stessa compagnia almeno per qualche mese dopo aver ottenuto la green card ma ora il tempo è passato e sono libero di muovermi e di guardami attorno. 

E quindi da circa un mese ho iniziato a inviare il mio Resume e a fare applications online. Non che mi ci stia dedicando anima e corpo perché tra le 4 ore al giorno per andare e tornare dall'ufficio e le 8 ore di lavoro non mi resta molto tempo ma insomma qualcosa ho fatto e ora vi aggiorno. 

Il primo a contattarmi è stato un recruiter di NYC che mi ha mandato un'email per chiedermi un colloquio telefonico per una posizione che, a suo dire, è molto adatta al mio profilo. Il problema è che quando lavori non hai mai tempo di una telefonata anche perché sono sempre con il mio manager, anche a pranzo. Inoltre anche andando fuori con una scusa, una telefonata con i rumori di New York City in sottofondo non sarebbe molto comprensibile. Coì ho preso una giornata libera e sono andato direttamente al suo ufficio. Il colloquio è andato molto bene, mi è parso soddisfatto, e infatti il giorno seguente ha inviato il mio resume a questa compagnia molto rinomata, nel settore del lusso. Dopo qualche giorno però mi ha comunicato che la compagnia aveva deciso di fare un colloquio a un'altra persona, il cui profilo evidentemente interessava un pochino più del mio, che a quanto pare è stata assunta. Mi deve far sapere con certezza.

Pochi giorni dopo sono stato contattato da un'altra recruiter sempre di NYC. Anche lei voleva parlare per telefono ma non potevo, il mio manager è sempre a due metri da me. Mi ha chiesto anche di andare da lei in pausa pranzo ma questa era una richiesta assurda. Come avrei potuto andare all'altro capo di NY fare il colloquio e tornare in ufficio, tutto nel giro di un'ora?  E quindi sono andato da lei all'uscita dal lavoro anche perché voleva proprio sentirmi in quel giorno per una posizione che poteva fare per me. E' stata gentile a ricevermi dopo le 5 ma allo stesso tempo mi è parsa avere un pò fretta di andare a casa. Altro punto negativo per me era che quel giorno non ero vestito in modo elegante, pantalone casual e un maglione e non credo di aver fatto una buona impressione. Si dice che non hai una seconda possibilità per fare una buona prima impressione. Inoltre ho avuto l'impressione che questa ragazza fosse del tipo "Americans first!", infatti quando ha capito che ero italiano e lo ha notato anche dal mio accento italiano, non so, ha cambiato un pò atteggiamento. Comunque su questo colloquio ci metto la croce sopra. E' uno di quelli che vanno male, no matter what. 

Dopo un'altra settimana mi ha contattato un'altra recruiter per una posizione molto interessante per una posizione con uno stipendio altissimo, oltre 30 mila dollari in più rispetto al mio stipendio attuale per una posizione con poche responsabilità in più. Questa recruiter mi viene incontro e mi chiama alle 7pm mentre è a casa con la nipotina e sta cucinando mentre parla al telefono. Il colloquio va molto bene, parliamo anche dell'Italia e delle sue vacanze e mi dice che girerà il mio resume alla azienda.  Però insomma non mi fido molto. Mi dice che la compagnia vende porte e finestre ed è una start up con 5-6 impiegati. La sede non è a NY ma a 20 minuti da casa (ottimo) ma neanche lei riesce a contattare il titolare che viaggia molto e che non le ha ancora dato molti dettagli sulla compagnia e sulla figura professionale che stanno cercando. Questa recruiter deve ancora farsi sentire ma pensandoci bene non dovrei rischiare e proseguire per questa strada. Le start up possono fallire dall'oggi al domani e non vorrei lasciare un'azienda con oltre 100 anni di storia per un salto nel buio con un'azienda semi sconosciuta. 

Poi mi ha contattato una ragazza delle risorse umane di Barnes n Noble. Quindi non una recruiter ma direttamente l'azienda. I libri sono la mia passione e quindi mi si sono illuminati gli occhi quando ho letto la sua email. Ho preso un altro giorno di vacanza per svolgere alcune faccende e fare questo colloquio telefonico e devo dire che è andato benino. Alcune domande erano molto formali (perché potresti essere migliore di altri per questa posizione? Quali sono i tuoi punti di forza?), altre più intelligenti e volte a capire la mia passata esperienza lavorativa. Purtroppo mi ha comunicato oggi che i suoi manager hanno deciso di fare il colloquio e assumere un'altra persona. 
Devo dire che avevo qualche titubanza. Se mi avessero assunto, lo stipendio sarebbe stato di poco superiore al mio stipendio attuale però avrei lavorato con dei prodotti che amo: i libri. 
Poteva andare bene ma ho letto che il loro competitor, più debole, Borders è fallito tempo fa e ora anche loro sono a rischio. Barnes n Nobles ha oltre 600 librerie in tutti gli Usa, sono il rivenditore di libri più importante ma potrebbe finire come Blockbusters, la catena di noleggio DVD che ha chiuso i battenti qualche anno fa. Ormai tutti comprano su Amazon e il rischio fallimento per queste catene non è da sottovalutare. 

Quattro giorni fa mi ha contattato un signore delle risorse umane di Tiffany al quale avevo inviato il resume. Cercano una figura professionale molto simile alla mia solo che...cercano un TEMP, una persona da impiegare per uno specifico periodo di tempo, probabilmente pochi mesi e quindi nonostante il prestigio della compagnia non posso certo lasciare un lavoro sicuro a tempo indeterminato per uno temporaneo. 

Insomma per ora molto si è mosso e poco si è mosso ma continuo a cercare, tempo permettendo. Alcune considerazioni.

 - Non mi sto dedicando full time a questa ricerca lavoro, come quando ero tornato in Italia e inviavo resume a raffica ad aziende in Usa. Però la media di chi è interessato al mio resume sembra essere soddisfacente.

 - Essere italiani non sempre aiuta.
Ho avuto l'impressione che un paio di recruiter, quando hanno capito che ero italiano e lo hanno notato anche dal mio accento, abbiano messo tra me e loro un piccolo muro trasparente. Sempre meglio mandare un americano alle aziende che non uno straniero, avranno pensato inconsciamente.

- Siamo a New York City e la concorrenza è feroce.
New York è davvero competitiva e se pensi di essere bravo e di avere esperienza devi anche considerare che per un posto di lavoro ci sono decine di candidati al tuo stesso livello che magari sono anche più giovani, americani, e laureati in prestigiose università americane.
E quindi devi già considerarti fortunato e in un certo senso lusingato se già ti contattano per un primo colloquio telefonico. Se poi ti fissano un colloquio anche in azienda, allora è quasi fatta.

 - Molte aziende usano i recruiter e quindi i passaggi sono 3: colloquio telefonico con il recruiter, colloquio telefonico con le risorse umane dell'azienda, colloquio vero e proprio in azienda. Se riesci a contattare e a interessare direttamente l'azienda, hai già saltato un passaggio.

Per concludere, la mia intenzione era ed è quella di sganciarmi dalle compagnie italiane, perché risentono della mentalità italiana, compresa la lentezza con cui puoi fare carriera, e pagano meno soprattutto quando impiegano una persona che ha bisogno del visto o della carta verde e quindi difficilmente può "scappare" e cambiare lavoro. 

Realisticamente però forse devo ritirare la mia ricerca perché è vero che ho ormai oltre 10 anni di esperienza e so usare bene molti programmi ma al mio stesso livello ci sono migliaia di ragazzi appena usciti dall'università, disposti a iniziare con poco o comunque impiegato della mia stessa età ma americani born and raised e per molte aziende questo è pur sempre un plus. Un'azienda italiana assumerebbe davvero un francese, un tedesco o uno spagnolo in gamba se si presentasse un americano con le stesse capacità? 

Insomma cosa ho io che mi distingue e mi darebbe un vantaggio? Semplice, la conoscenza della lingua italiana, madre lingua.  Quindi dovrei continuare a cercare  tra le compagnie italiane con sede in Usa che abbiano bisogno non solo di comunicare con una rete vendita americana ma anche con gli uffici centrali italiani? Probabilmente è l'idea migliore ma deciderò in questi giorni se abbandonare completamente la pista americana per dedicarmi solo a quella italiana. Voi cosa dite? 

Vi tengo aggiornati.

Stay tuned for more updates. 


martedì 27 febbraio 2018

Nuova vita da pendolare

Pochi giorni fa la mia azienda ha spostato gli uffici dal Bronx a Manhattan ed è iniziata la mia nuova vita da pendolare. In realtà ero un pendolare anche prima quando andavo in ufficio al Bronx con la macchina, ma ora questa opzione non ha più senso ed è preferibile prendere il treno dal Connecticut a New York.  La mia giornata inizia prima dell’alba, alle 5:30 am in punto, quando la sveglia, inesorabile, mi ricorda che è ora di alzarmi e non mi è concesso poltrire perché anche un solo minuto potrebbe farmi perdere il treno. Mi alzo con un occhio chiuso e l’altro aperto, mi faccio una doccia, preparo una colazione waffle e caffè, stiro camicia e pantaloni, mi vesto e mi fiondo in macchina. Devo arrivare alla stazione poco prima delle 7. Parcheggio la macchina e salto sul treno delle 7 e 05. Nelle carrozze il silenzio è irreale. C’è chi dorme, chi smanetta sull’iPhone, chi guarda un film sull’iPad e chi crea file Excel con il portatile sulle ginocchia. Il silenzio è interrotto dal “tickets please” e dal clic clac dell’obliteratrice del controllore. Tutti tirano fuori il biglietto, noi pendolari il mensile sull’app, i turisti il biglietto cartaceo. Noi pendolari guardiamo i turisti con un sorriso bonario. Non rivedremo le stesse facce domani perché siamo noi gli unici eroi della sveglia alle 5 am “monday to friday”. Alle 8 in punto arrivo a Grand Central, la stazione ferroviaria più grande al mondo, con i suoi 67 binari, il bandierone americano issato dopo l’11 settembre, e l’immenso atrio centrale immortalato in tantissimi film. Lo spettacolo è straordinario ed è un miracolo che si ripete ogni giorno: migliaia di persone di razze, etnie, religioni differenti entrano ed escono come formiche in un formicaio. E ogni volta mi chiedo come sia stato possibile riuscire a riunire in modo pacifico persone da ogni parte del mondo in questa unica, meravigliosa città di cui Grand Central è un simbolo importante. Pensando al multiculturalismo vado a prendere la metro che in pochi minuti mi porta alla 59th Street. Esco in strada e mi dirigo verso l’ufficio. È sulla Madison Avenue, a pochi passi dalla 5th Avenue e dal famoso rettangolo verde di Central Park. Durante il cammino c’è tutta New York che inizia a svegliarsi. Gli odori provenienti dai carretti di muffin e bagel pervadono le strade e si mescolano agli odori del caffè dei bar, di Starbucks e di Dunkin Donuts. Donne eleganti chiamano il taxi al volo, uomini in giacca e cravatta affrettano il passo e ascoltano musica con le cuffie colorate della Beats, turisti curiosi guardano in alto e ammirano l’imponenza dei grattacieli. Arrivo in ufficio, saluto i colleghi e inizio a lavorare. Fatture, documenti doganali, report sulle vendite e sull’inventario. In pausa pranzo esco con un collega ed esploriamo la zona. Dobbiamo comprare da mangiare e troviamo un food truck che prepara hamburger a pochi dollari. Ne compriamo due che mangiamo in ufficio e inaspettatamente sono davvero buoni. Generalmente porto il cibo da casa ma questi food trucks sono una valida alternativa quando non c’è tempo di prepararsi qualcosa. Alle 5 si esce e il percorso è all’inverso: camminata dall’ufficio alla metro, treno da Grand Central a Stamford, macchina per venti minuti dalla stazione a casa. Il venerdì, però, mi concedo una variante: non prendo la metro e faccio una piacevole passeggiata dalla lungo la 5th avenue, dall’ufficio a Grand Central. Passo vicino Central Park, davanti all’hotel Plaza, e scendo giù tra i negozi più rinomati al mondo come Cartier, Tiffany, Bulgari, Gucci, Armani, Valentino, Versace. E passo anche accanto a Rockfeller Center, alla cattedrale di San Patrick e alla ormai celebre Trump Tower, alla cui entrata molti poliziotti armati fino ai denti non disdegnano selfie con i turisti curiosi. E quando sono in treno c’è un’altra “tradizione”. Lavoratori in giacca e cravatta fanno capannello, socializzano e bevono birre da 50 cl. Silenziosi e composti durante la settimana, si lasciano andare il venerdì pomeriggi per sbronzarsi senza ritegno ben prima di arrivare a casa. Ma va bene così, è finita un’altra settimana e bisogna svagarsi. Chissà da quanti anni fanno la vita da pendolare. E magari si conoscono tutti. Io, novello, sono solo alla mia seconda settimana ma potrei già tirare le somme. Non è facile svegliarsi alle cinque ma va ogni giorno un po’ meglio. Devo solo prendere il ritmo. E se qualche giorno la stanchezza fa capolino, l’energia e la vitalità di New York mi aiuta a ricaricarmi. Tra poco arriveranno le belle giornate e potrò godermi la big apple anche dopo il lavoro. Potrebbe andar peggio, insomma, non è poi cosi male una vita da pendolare dal Connecticut a New York.