domenica 26 maggio 2013

Undercover Boss

Quando in prova/training con la compagnia americana per la quale andro' a lavorare tra qualche settimana, i colleghi scherzando dicevano che secondo loro io ero in realta' un Undercover Boss mandato li' dalla sede italiana. Non sapendo a cosa si riferissero mi spiegavano che Undercover Boss e' una trasmissione televisiva molto popolare in cui il capo di una grande azienda decide di analizzare meglio, dall'interno, l'efficienza o le inefficienze della sua compagnia e le condizioni lavorative dei suoi dipendenti e quindi dopo essersi travestito per non farsi riconoscere, e con la scusa di essere stato assunto, va a lavorare per qualche giorno a stretto contatto con alcuni suoi dipendenti, incaricati di fargli il training. Il boss avra' modo cosi di vedere da vicino il modo in cui lavorano e ascoltare dalla loro voce cosa pensano onestamente della compagnia, del loro lavoro, del loro stipendio, delle inefficienze. Dopo qualche giorno il boss fa un meeting con i vari manager per raccontare la propria esperienza e dare istruzioni su cio' che va migliorato e poi, dopo averli invitati nel suo ufficio, si rivela agli impiegati che gli hanno fatto il training (in vari settori), li ringrazia facendogli dei complimenti per l'attaccamento all'azienda e il modo di lavorare e magari gli regala una settimana di vacanza pagata dall'azienda, o un contributo per pagare il college dei figli o un piccolo aumento.
Durante il mio training a New York quindi scherzavo spesso con i miei (futuri) colleghi dicendogli Be careful. I am watching you. Maybe I'll give you a raise. Maybe I should fire someone. E ci siamo fatti delle grasse risate.
Oggi sono finalmente andato su Youtube per vedere qualche puntata di quella trasmissione e l'ho trovata molto interessante. C'e' anche da dire molti potrebbero pensare che alcuni CEO decidono di partecipare ad Undercover Boss solo per fare pubblicita' all'azienda. Puo' anche essere vero, pero' non ho mai amato la dietrologia. Alla fine e' semplicemente una trasmissione televisa che reputo simpatica ed interessante perche' ci fa entrare direttamente a contatto con il mondo del lavoro americano. Ecco per voi uno degli episodi:



venerdì 24 maggio 2013

Stati Uniti arrivo!!!

Ragazzi, ormai e' sicuro. Poco fa mi ha telefonato il CEO dagli States per comunicarmi che l'immigration ha approvato il mio visto! Quindi...Missione Compiuta! Torno a vivere in America!
Attendevo con ansia questa notizia ormai da molti mesi. Il prossimo passo e' andare ad un consolato americano in Italia, portare alcuni documenti che mi inviera' l'avvocato da NY e sostenere un breve colloquio dopodiche' stamperanno il visto sul passaporto e potro' finalmente partire. Grazie a tutti per il supporto! Vi terro' aggiornati e comunque state certi che continuero' a scrivere per il blog. Come diceva qualcuno: e non finisce qui. E adesso fuochi d'artificio, come fosse il 4th of July.

giovedì 23 maggio 2013

Canzoni e musiche su New York

Cari lettori, quali sono le canzoni che vi fanno subito pensare a New York? Non intendo necessariamente quelle che cantano direttamente di New York ma quelle che per un motivo o per un altro appena le ascoltate vi riportano al centro dell'atmosfera della citta' che non dorme mai.
Ecco la mia top 10 list che comprende anche musiche di colonne sonore o musiche, come la bellissima Stairway to the Stars, che anche senza avere testo se chiudo gli occhi mi riportano a New York piu' di mille altre canzoni:

10) New York New York (Liza Minelli)


9) Englishman in New York (Sting)


8) C'era una volta in America Theme (Ennio Morricone)


7) Leaving New York (REM)


6) Empire State of Mind (Alicia Keys)


5) Rhapsody in Blue (George Gershwin) 


4) Taxi Driver Theme (Bernard Herrmann)


3) Scrificed Sons  (Dream Theater)


2) Stairway to the stars (Oscar Peterson)


1) Manhattan (Eric Johnson)




mercoledì 22 maggio 2013

Colloqui di lavoro italiani e americani


Cari lettori, noto con piacere che siete diventati sempre piu' numerosi. Chi lo avrebbe mai detto che in soli pochi mesi questo blog avrebbe totalizzato oltre 45mila contatti! Mi leggete praticamente da ogni luogo del pianeta: Italia, Usa, Russia, Germania, Cina, Giappone, Australia, Svizzera, UK, Norvegia, Ucraina, Pakistan, Malesia e tantissimi altri! Vi ringrazio tutti.
Innanzitutto vorrei aggiornarvi sulla mia situazione work visa e ritorno in America. Dopo aver ottenuto l'approvazione dal dipartimento del lavoro americano, l'avvocato incaricato dall'azienda per preparare le pratiche del visto ha finalmente inviato la domanda anche all'immigration americana. Oltre ai soldi gia' spesi (credo non meno di $3000) l'azienda ha deciso di usare un procedimento veloce, pagando oltre $1000 extra, per far si' che l'immigrazione dia precedenza alla mia pratica e prenda una decisione sul mio caso entro solo due settimane.  Quindi questi giorni sono davvero cruciali per il  mio futuro! Mandatemi pure i vostri pensieri positivi, formule magiche propiziatorie e una marea di dita incrociate, mi raccomando, conto su di voi! 
Oggi ripensavo ai miei ultimi due colloqui di lavoro, uno sostenuto in Italia e l'altro negli Stati Uniti. Quante differenze...
Colloquio in Italia. Il responsabile del personale mi diede appuntamento ad un orario ben preciso, arrivai puntuale ma poi si fece attendere per oltre un'ora perche' era impegnato in altre faccende. Il colloquio si divise in piu' colloqui, sostenuti nell'arco di una ventina di giorni, prima con il responsabile del personale, poi con un ingegnere che si occupava anche del personale e poi con il capo. Il colloquio con il responsabile del personale fu molto lungo. Mi fece anche delle domande in inglese che lui diceva di conoscere molto bene perche' aveva vissuto per qualche tempo in Inghilterra e aveva viaggiato per il mondo. Sara' ma sinceramente a me e' sembrato un inglese molto maccheronico.
Tra le tante domande mi chiese:
- Quanti anni hai?
- Sei single o sposato?
- Che lavoro fanno i tuoi genitori?
- Hai fratelli e sorelle? Che lavoro fanno? Dove vivono?
- Hai una casa di proprieta'? Vivi in affitto o con i tuoi genitori?
Risposi a tutte le domande ma l'impulso di rispondere - mi scusi ma quale attinenza hanno queste domande con il lavoro? - e' stato forte.
Ovviamente capii in seguito che quelle domande erano utili per capire se offrendomi uno stipendio da fame avrei potuto comunque contare su una casa di proprieta' e/o su una famiglia in grado di supportarmi economicamente per "integrare" il misero stipendio offerto dall'azienda.
Dopo il colloquio-interrogatorio mi lascio' da solo in ufficio a girarmi i pollici per un'altra buona ventina di minuti. Torno' con dei test: due articoli di giornale di argomento tecnico-scientifico, molto facili da comprendere, da leggere e commentare rispondendo in forma scritta a delle domande. Dopo il test fui congedato con un: bene, ti richiamo tra qualche giorno. Ah il colloquio non finisce qui? -pensai- ho impiegato un paio di ore della mia vita tra lunghe attese, domande molto personali e test di comprensione del testo ridicoli e volete farmi altre domande? Cosa e', un posto di lavoro alla CIA? Non mi pare, ma vabbe'.
Mettiamo in pausa il colloquio italiano e vi porto al mio colloquio americano, sostenuto qualche mese dopo. Il CEO, Chief Executive Officer, ovvero l'amministratore delegato dell'azienda, dopo aver ricevuto il mio CV, che in Usa si chiama Resume, mi diede appuntamento in uno Starbucks ad un orario ben preciso e arrivo' puntuale, spaccato. Fu molto cordiale e creo' subito un'atmosfera molto amichevole, direi da pari a pari. Sorseggiando un caffe' mi chiese delle mie esperienze passate, dei miei studi, delle mie ambizioni e predisposizioni. In realta' non aveva ancora in mente una posizione ben precisa ma volle incontrarmi ugualmente e dopo aver parlato una mezz'ora con me mi disse che avrebbe pensato meglio a cosa avrei potuto fare per loro ma non era il classico "le faremo sapere" perche' aggiunse anche che vedeva bene un paio di opzioni, che descrisse abbastanza dettagliatamente. Ad un certo punto gli squillo' il cellulare e rispose chiedendo al suo interlocutore di richiamarlo piu' tardi perche' era in un meeting importante. Un colloquio con me un meeting importante? Non nego che mi fece piacere questo suo segno di rispetto. Poi mi diede anche un'idea delle fasce di stipendi che vengono pagati in azienda, mi fece capire la cifra con la quale avrei potuto iniziare a dove sarei potuto arrivare dopo qualche anno e mi saluto' invitandomi ad una festa in uno dei loro negozi per farmi conoscere alcuni suoi dipendenti e clienti e farmi vedere da vicino i loro prodotti. Mi disse che dopo questa festa mi avrebbe fatto conoscere un manager dell'azienda, un po' il suo braccio destro, che era in vacanza per qualche giorno, e avremmo potuto proseguire con il dialogo sull'eventuale assunzione.
Ma torniamo al colloquio italiano. Dopo il colloquio con il responsabile del personale ne sostenni un altro con un ingegnere dell'azienda e poi finamente, alcuni giorni dopo, venni finalmente convocato per il colloquio con il capo... a quanto pare un'entita' astratta di natura semi-divina che solo pochi fortunati hanno avuto la fortuna di vedere. Dopo un'ora di attesa entrai nel suo ufficio ed era stravaccato sulla sua poltrona, tutto abbronzato, camicia aperta che lasciava intravedere collane d'oro, orologio e bracciali d'oro. Dava l'impressione che avrebbe messo i piedi sulla scrivania da un momento all'altro. Dopo qualche domanda gli squillo' il telefonino. Rispose. Era un suo amico, o un parente, al quale chiese: allora chi ti sei portato (a letto) ieri sera? E continuo' a parlare, a fare battute a sfondo sessuale di cattivo gusto mentre io ero li' a fingere di non ascoltare e a guardare i quadri sulle pareti. Finalmente dopo un buon quarto d'ora termino' la sua telefonata e mi fece qualche altra domanda. Ascoltava distrattamente e per poter "abbassare il mio valore" sminui' la mia esperienza all'estero con un: si' sette anni in America, ma io la considero solo un'esperienza di vita. E infatti seguendo il suo schema, che alcuni ragazzi che avevano sostenuto gia' il colloqui poi mi confermarono, poco dopo mi accenno' alla proposta di un contratto a progetto, rinnovabile, ma fu vago sullo stipendio anche se intuii che doveva essere molto basso. Prima di parlare di cifre avrei dovuto fare un periodo di training "per iniziare a mettere un piede in azienda e capirne i meccanismi" e quindi mi invito' a seguire questa settimana di training o meglio corso di formazione, non pagato. Anche per la posizione fu molto vago. In realta' andai a quei colloqui come tanti altri ragazzi perche' ci venne fatta intravedere sempre in modo vago la prospettiva di lavorare in ufficio back office o marketing o vendite ma si trattava solo di esce per attirarci al colloquio perche' in realta' l'azienda aveva un urgente bisogno di persone al call center. E infatti durante la prima giornata di training fu chiaro che stavano per insegnarci come lavorare al call center. Quasi tutti pero' continuammo quel training anche perche' avevamo bisogno di lavorare, volevamo capire quale poteva essere l'offerta concreta che ci sarebbe stata comunicata solo dopo la settimana di training. Finita la settimana di training il capo convoco' un tutti nel suo ufficio, uno dopo l'altro, per comunicarci che avremmo dovuto fare una seconda settimana di training, (uscita cosi' all'improvviso e sempre non pagata), per fare pratica e ci confermo' tipo di contratto e la paga che poteva offrire: contratto a progetto rinnovabile a circa 400 euro al mese. Un'altra settimana di training non pagata per un lavoro full time al call center quando sia a me che a tanti altri ragazzi aveva prospettato tutt'altro? 400 euro al mese per oltre 40 ore di lavoro a settimana? Mi sentii preso in giro e cosi' rifiutai l'offerta e me ne andai. Molti altri furono costretti ad accettare. Avevo perso oltre un mese con i loro colloqui, la loro vaghezza, false promesse e training non pagato. Decisi cosi' di tentare di tornare in Usa.
E torniamo appunto a qualche mese dopo, al colloquio americano di cui vi parlavo.
Qualche giorno dopo la festa alla quale fui invitato, sostenni il secondo ed ultimo colloquio con il CEO e il manager. Anche questo colloquio si svolse in modo molto amichevole in sala mensa dove mi offrirono il pranzo e mi parlarono in termini concreti, senza giri di parole o promesse vaghe. Mi proposero di fare un mese di prova/training, anche per vedere se ci piacevamo a vicenda dopodiche' avrebbero deciso se avrei potuto lavorare per loro. Mi comunicarono la cifra precisa che mi avrebbero offerto in caso avessi superato il periodo di prova e avendogli detto che avevo ricevuto un'offerta da un'altra azienda mi "corteggiarono" un po' parlandomi delle prospettive di crescita, dicendomi che mi avrebbero offerto piu' benefits dell'altra azienda e che secondo loro non avrei avuto problemi a superare la prova ma questa era la procedura standard da seguire.
Non mi fecero mai domande sulla mia eta', sui miei genitori o sui miei fratelli. Se non erro negli Usa non e' consentito agli imprenditori chiedere queste informazioni cosi' personali anche perche' potrebbero discriminare in base all'eta' e ad altri fattori personali.
Insomma come tutti sapete avendo letto i dettagli di questi colloqui in vari post precedenti, poi superai il periodo di prova e l'azienda decise di assumermi e ora sto aspettando l'approvazione del work visa. Il periodo di prova mi venne pagato e anche molto bene. Se paragono quel periodo di prova con lo stipendio che mi avrebbe dato l'azienda italiana...beh in Usa sono stato pagato dieci volte tanto! Se non sono differenze queste. E poi vogliono cercare di far rientrare i laureati italiani emigrati all'estero? Siamo seri, per favore.


Il Workshop di Luca Martera: Trasferirsi, lavorare e vivere a NYC

Cari lettori, il post sui consigli (inutili ed altezzosi) da parte di molti Italiani ed Italo-Americani ha riscosso un grande successo anche grazie ai vostri commenti. Rovesciando la prospettiva, ma sempre in tema di consigli, oggi vorrei segnalarvi alcuni video di Luca Martera, regista, sceneggiatore, autore tv e consulente per i media Italia-Stati Uniti.
I suoi 12 video video Trasferirsi, lavorare e vivere a New York sono pieni di informazioni e suggerimenti utili.
Ecco il primo video (questo video e tutti gli altri sono visibili su YouTube):


Vi segnalo anche il suo blog e la sua pagina facebook su come Fare Piccola e Media Impresa negli Stati Uniti. Ho contattato Luca Martera qualche giorno fa ed ha accettato gentilmente la mia intervista che vedrete pubblicata sul blog nelle prossime settimane. Enjoy the video(s) and stay tuned!

mercoledì 15 maggio 2013

I consigli degli Italiani e degli Italo-Americani a chi sogna gli Usa

Ciao a tutti, su internet ci sono molti blog, forum e gruppi facebook dedicati agli Stati Uniti.
Questi gruppi sono frequentati da Italiani che vivono negli Stati Uniti e Italiani che sognano di trasferirsi negli Stati Uniti. Gli Italiani che sognano gli Stati Uniti fanno le domande più svariate:
- Non ce la faccio più in Italia, voglio venire in America. Come si fa?
- Faccio il pizzaiolo, verrò in cerca di lavoro con il visto turistico. Sono disposto a fare qualsiasi cosa per iniziare. Da dove comincio?
- Quando arriverò in Usa dove posso prendere un visto lavorativo?
Sono domande un po' ingenue che denotano inesperienza e poca conoscenza delle leggi americane in termini di lavoro e immigrazione e quindi molti tra gli Italiani che vivono in America spiegano chiaramente che non è facile trovare lavoro, bisogna essere sponsorizzati da una compagnia, è quasi impossibile che ti assumano in nero, non si può cercare lavoro con un visto turistico, non bisogna scherzare con l'immigrazione americana ed è altamente sconsigliato restare sul suolo americano oltre la scadenza dei 90 giorni turistici. Qualcuno consiglia di iscriversi a un corso di Inglese o a un'università americana per ottenere un visto da studente ed avere il tempo per guardarsi attorno e cercare lavoro, coperti da uno status legale. E' una buona idea ed è quello che ho fatto io anni fa.
Ciò che però mi sorprende sono le risposte di altri italiani del tipo:
- O sposi una Americana o è difficile che ti sponsorizzino per un visto (detto anche ai laureati)
- Non venire se non hai un Master's.
- OMG ne ho sentite tante di richieste assurde ma questa è il massimo. Da raccontare.
- Fossi in te con l'esperienza che hai, resterei in Italia.
- Puoi iscriverti a un'università però controllano il tuo conto in banca, probabilmente quello di tua mamma e papà, e devono dimostrare di avere molti soldi. Ce li avete davvero?
Il tono è antipatico ed astioso. Invece di spiegare come funzionano le cose si chiude la porta in faccia e si dice: non avete speranza. Anzi molto spesso li si deride.
Ho notato un atteggiamento simile anche tra gli Italiani che vivono in Usa da alcuni decenni, ovvero gli Italo-Americani. Quando quasi nove anni fa ero appena arrivato in Usa, cercavo info utili per capire come poter restare oltre i tre mesi da turista. Alcuni amici di famiglia di Brooklyn mi portarono in giro in un quartiere italiano per chiedere consiglio a qualche loro amico italo-americano. Me ne presentarono molti per strada e nei bar. Tutti molto cordiali e socievoli e mi chiedevano da dove venivo, se mi piaceva l'America, se c'ero già stato in passato, se avevo parenti a New York:
- Qui si sta bene, non è come in Italia! E in Italia, in Italia che si dice?
Raccontavo la mia storia, il mio amore per l'America, i viaggi passati, la decisione di partire subito dopo aver preso la laurea in lingue in Italia, parlavamo del più e del meno però quando gli spiegavo che non ero li' solo per turismo ma che mi sarei trasferito volentieri in America e cercavo qualche consiglio il loro atteggiamento cambiava:
- Eh ma è difficile
- O sposi un'Americana o è meglio che te torni in Italia
- Puoi chiedere a qualche pizzeria italiana, magari ti fanno lavorare in nero
Io: Si ma dopo i tre mesi cosa faccio? Non voglio diventare illegale
- Eh ma è difficile trovare una compagnia che ti assume, mi sa che è meglio che torni in Italia. Si sta tanto bene la'.
Rimasi deluso anche dalle associazioni italiane a NY. Alcune (poche) mi davano anche del Lei ma solitamente la loro risposta era la stessa: è difficile restare in Usa. Forse è meglio che torni in Italia.
Ok lo so che è difficile, ma potete darmi qualche consiglio? Niente da fare. Anzi un paio di queste associazioni mi diedero lo stesso consiglio degli Italo-Americani di Brooklyn: o sposi un'Americana o è  difficile. Associazioni italiane a NY che ti danno questo consiglio da bar? Mah e poi se anche volessi tentare quella che per tutti sembra essere l'unica strada per un "poveraccio italiano sognatore", in tre mesi dove la trovo un'Americana disposta a sposarmi, sugli scaffali di un supermercato? Sorvoliamo.
Dopo aver trovato la mia strada una ragazza italiana, che come me era riuscita a trasferirsi in Usa, mi disse: certamente ci sono alcuni modi per restare in Usa, non è facile ma ci sono. Ma perche' io dovrei condividere con gli Italiani tutto cio' che ho imparato con il mio sudore negli anni?
Ok non condivido ma è legittimo non dover per forza raccontare le proprie esperienze pero' non capisco perché molti Italiani in America debbano trattare gli Italiani che sognano l'America dall'alto in basso, quasi deridendoli per il loro sogno che a parer loro è irrealizzabile. Se tanti Italiani come voi, e come me in passato, ce l'hanno fatta, perché non possono farcela anche gli altri? Cosa credete di avere voi di speciale rispetto agli altri? Perché essere cosi' altezzosi e snob?
Personalmente ricevo tante email tramite questo blog e cerco sempre di mettere in guardia sulle difficoltà estreme di trasferirsi in Usa ma non dico mai che è impossibile, non derido mai nessuno.
Le domande vengono fatte da chi non ha risposte e ha bisogno di qualche informazione e io se posso cerco di condividere la mia esperienza magari con dei consigli che sinceramente reputo piu' utili e concreti dei soliti "E' difficile, forse e' meglio se torni in Italia". Ad esempio con post come questi:
Trasferirsi negli Usa (parte 1)
Trasferirsi negli Usa (parte 2)
Trasferirsi negli Usa (parte 3)
Perche' noi Italiani siamo cosi' divisi anche all'estero? Perche' non ci diamo mai una mano?
Qualcuno ha esperienze simili da raccontare?

domenica 12 maggio 2013

Alitalia e Delta: Italia e America a confronto

Cari lettori, me lo ripeto sempre piu' spesso: devo assolutamente emigrare. Vi spiego. L'avvocato americano che mi sta facendo le pratiche per il work visa deve inviare alcuni documenti che mi riguardano all'immigrazione americana. Poiche' ho gia' vissuto e lavorato in Usa fino al 2010 vuole mostrare che nel 2010 sono andato via dagli Usa per tornare a vivere in Italia. Unico modo per farlo e' ottenere una copia del biglietto aereo o del boarding pass. Poiche' dopo averlo usato gettai via quel biglietto e il boarding pass e cancellai anche l'email con il pdf, l'unica soluzione possibile e' contattare Alitalia per richiedere un duplicato del biglietto acquistato, magari lo stesso biglietto in pdf che mi inviarono via email. Quindi stamattina contatto Alitalia e un operatore mi dice che e' impossibile ottenere una copia del biglietto perche' e' gia' stato usato e non ne hanno piu' traccia. Conoscendo Alitalia, chiudo il telefono e richiamo per parlare con un altro operatore, magari sono piu' fortunato, come una lotteria: trova l'operatore fortunato. In effetti l'altro operatore mi da' gia' una risposta leggermente differente: non e' possibile avere una copia del biglietto perche' e' stato gia' usato. Ma si puo' chiedere una "certificazione di volato". Bene, come procedere? -chiedo- mi servirebbe al piu' presto possibile. L'operatore risponde che devo inviare un fax con documentazione varia dopodiche' potranno aprire il fascicolo, fare ricerche e darmi una risposta solo dopo "molte settimane"! Molte settimane?-penso-ma oggi e' tutto computerizzato, cosa ci vuole a ripescare due dati e inviarmeli? Niente da fare: molte settimane. Chiudo e cerco altre strade e noto che Alitalia risponde alle richieste dei clienti anche via Facebook. Rispiego la mia situazione e la mia urgenza e mi dicono che si mettono subito all'opera per vedere cosa possono fare per accelerare i tempi. Bene, mi danno qualche speranza. Dopo un po' mi dicono che il volo era Alitalia ma e' stato operated by Delta ai quali hanno esposto la mia richiesta e dai quali stanno aspettando una risposta.  Poi a un certo punto probabilmente si stancano per il troppo lavoro e la troppa pressione psicologica, e' pure domenica no?, e mi rimbalzano prontamente a Delta. Devo rivolgermi direttamente a loro. Si ma io il biglietto lo ho acquistato da Alitalia. Non dovrebbero essere loro ad aiutarmi? Niente da fare, si tirano indietro e mi danno il numero di telefono del customer service Delta Italia, che ovviamente e' contattabile solo dal lunedi' al venerdi'.
Delta pero' e' una compagnia americana, penso, e hanno il customer care italiano ma anche quello americano. Magari lavorano anche di domenica. Quindi vado sul sito americano e vengo a sapere che hanno un customer service che risponde anche su Twitter. Incredibile, sono avanti! Mi iscrivo a Twitter, trovo Delta Assistance, espongo il mio caso e spiego la mia urgenza. Mi aspetto che anche loro mi dicano che occorrono molte settimane per soddisfare la mia richiesta ma mi dicono che occorrono fino a 14 giorni. E bisogna pagare $20. Ok, sono Americani, ovvio, si fanno pagare anche l'aria ma va gia' meglio perche' ho urgenza e comunque "fino a 14 giorni" e' gia' meglio di "molte settimane". Ci provo, insisto e spiego che mi servirebbe una risposta entro un paio di giorni. La ragazza molto gentile e paziente che mi sta rispondendo con i suoi twit (che strano!) mi chiede di darle la mia email in privato e mi dice che cerchera' di vedere cosa puo' fare. E cosi' resto a meta' tra la speranza e il timore pero' che questo potrebbe essere solo un modo per tenermi tranquillo per un po' di giorni. Poi all'improvviso, apro le email e vedo l'email di Delta con il documento di cui avevo bisogno, presa dai loro records del 2010! Niente fax, niente burocrazia, niente "molte settimane". Poche ore di Delta contro le molte settimane di Alitalia. Lo so che potrei risultare antipatico quando lo dico ma questa e' un'ulteriore dimostrazione che l'efficienza americana e' anni luce superiore rispetto a quella italiana. Devo assolutamente emigrare.

mercoledì 1 maggio 2013

Ci siamo quasi

Ciao a tutti, molti di voi mi stanno chiedendo un aggiornamento sulla mia "Mission Impossible".
Non ne ho parlato molto nelle ultime settimane perche' e' tutto ancora molto work in progress ma la notizia importante e' che la compagnia con sede a New York ha confermato che ha deciso di assumermi e poche settimane fa mi ha messo in contatto con i loro avvocati per le pratiche per il Visto di lavoro e piu' precisamente per l'H1B Visa. E' un Visto che dura tre anni e viene concesso solo due volte. Poiche' ne ho ottenuto gia' uno alcuni anni fa, questo sara' il mio secondo e ultimo H1B. Tra tre anni per continuare a vivere in Usa dovro' ottenere un altro tipo di Visto, magari un Visto E, o meglio ancora la Green Card. Ma va benissimo cosi' anche perche' credo di avere delle prospettive per il futuro perche' la compagnia mi sembra ben disposta; il CEO mi ha detto infatti che per ora l'importante e' riuscire a portarmi li' a lavorare con loro, poi tra tre anni magari troveremo il modo per prolungare la mia permanenza. Ovviamente dovro' guadagnarmi la loro fiducia per far si' che decidano di sponsorizzarmi per un altro visto o per la green card. Sono pratiche lunghe e costose e la compagnia deve presentare molti documenti sulla "salute" dell'azienda, il suo fatturato, gli stipendi degli altri dipendenti e non tutte le compagnie hanno voglia di fornire i propri dati. Un aspetto interessante di queste pratiche e' la cifra che la compagnia deve dichiarare di pagare alla persona straniera che vogliono assumere. In base alla posizione offerta c'e' un salario minimo riconosciuto dal Dipartimento del Lavoro al quale la compagnia deve atteneresi. Se per esempio una compagnia vuole sponsorizzarti per una posizione come traduttore e lo stipendio minimo riconosciuto e' 40 mila dollari l'anno, la compagnia non puo' dichiarare al Dipartimento del Lavoro che vuole pagarti 35mila dollari l'anno, il visto non verrebbe approvato; deve dichiarare che verrai pagato 40 mila dollari o poco piu'. In questo modo in teoria viene evitato lo sfruttamento e la competizione che svantaggerebbe i lavoratori americani. La compagnia deve assumere uno straniero per le sue capacita' e non perche' puo' pagarlo di meno rispetto a un lavoratore americano. E' un principio che mi piace anche se le compagnie che davvero volessero farlo, potrebbero trovare qualche modo per pagarti meno del dovuto, a loro rischio e pericolo.
Ora per questo secondo mio Visto H1B, bisogna ottenere l'approvazione del Department of Labour e  della USCIS (in sostanza l'Immigration). Nel mio caso il Dipartimento del Lavoro ha dato l'approvazione pochi giorni fa e al momento siamo in attesa, entro un paio di settimane, dell'approvazione da parte dell'Immigrazione. Appena ricevuta l'approvazione anche dall'Immigrazione, posso fissare un appuntamento con un Consolato americano in Italia, in cui andro' a sostenere un breve colloquio e presentero' le carte approvate in Usa. Il Consolato stampera' il Visto sul mio passaporto e potro' finalmente tornare a vivere in America!!!
Come sapete, per scaramanzia, non brindero' fino a che non vedro' il visto stampato sul mio passaporto anche se l'avvocato mi ha detto che non dovrebbero esserci problemi. Vi terro' aggiornati e vi ringrazio molto per tutto il sostegno che mi avete dato durante i miei colloqui americani. La missione e' quasi compiuta e se da un lato sapevo che sarebbe stato difficile, dall'altro sapevo che con un po' di impegno e fortuna sarei riuscito nell'impresa. Comunque state certi che questo e' solo l'inizio. La mia seconda avventura americana sta per iniziare e so che vi piacera' respirare un po' di atmosfera americana. Ci siamo quasi...Stay Tuned!