domenica 31 dicembre 2017

Il customer service italo-americano

Qualche giorno fa avevo voglia di cose buone italiane e, poiché nei grandi supermercati americani non riesco a trovare tutto, sono andato in un negozietto italo-americano fornito di tante leccornie made in Italy. Compro due pandoro (uno per l'ufficio e uno per il pranzo di Natale con degli amici), un pacco di pan di stelle (ma cosa ci mettono dentro? provocano dipendenza!), un pacco di fette biscottate, un pacco di introvabili biscotti gran turchese, un mini pandoro e un torrone, questi ultimi due da regalare al mio padrone di casa. Quando arrivo a casa mi rendo conto che alcuni prodotti hanno la scadenza a breve e due sono abbondantemente scaduti: le fette biscottate da un mese e i biscotti gran turchese da oltre un anno...luglio 2016!

Il giorno dopo torno al negozio con i prodotti scaduti e mentre entro penso che come avviene in tutti supermercati americani mi chiederanno: vuole un rimborso e cambiare i prodotti?
In realtà l'opzione del cambio è molto rara, di solito ti danno il rimborso e sta a te decidere se con quei soldi vuoi comprare altra roba nel negozio o andare via. Ma dimentico che sono in un negozio italo-americano e appena dico con gentilezza alla proprietaria che i due prodotti sono scaduti, lei, una tipa tracagnotta con grembiulone, da uno sguardo veloce alle date, va allo scaffale dei biscotti, prende un altro pacco di gran turchese e mi fa: Prendi questi che non sono scaduti. Febbraio 2018. Poi ricontrolla la data sul pacco delle biscottate e mi fa: Ma queste sono ancora buone! E' pane tostato, le puoi ancora mangiare!

C'erano altri clienti e poiché non amo fare polemiche, non per un pacco di fette biscottate, vado a casa con un pacco cambiato e l'altro scaduto e penso che alla fine avrà ragione lei e le fette le posso ancora mangiare ma, riflettendoci su, questo è un classico esempio di differenza tra mentalità italiana e americana e nello specifico tra il customer service americano e italo-americano.

Quando lavorai come cassiere a CVS, un noto supermercato-farmacia americano, ad esempio, una delle prime cose che mi disse il manager fu: Se un cliente viene a cambiare qualcosa, non fare domande, chiedi se vuole un rimborso o se vuole un altro prodotto. Anzi è sempre preferibile dare il rimborso. Non siamo qui per fare domande e interrogatori, non vogliamo che il cliente vada a comprare da un'altra parte. Ci sono tanti competitors fuori e perdere un cliente è un attimo.

Ed è proprio questo che mi piace della mentalità americana, la semplicità, la gentilezza, la disponibilità. Se un prodotto è scaduto o difettoso va cambiato. Punto. E' un gesto semplice e rispettoso verso il cliente che apprezzerà e tornerà di nuovo. Cosa ci avrebbe perso la proprietaria italo-americana a darmi un altro pacco di fette biscottate non scadute? Non sarebbe andata in rovina. Così ha perso un cliente. E non parliamo del customer service italiano in Italia. Ricordo ancora quando acquistai delle casse audio per il pc e appena aprii il pacco, in macchina, al parcheggio del negozio, notai che l'alimentatore era rotto. Tornai subito al negozio mi fecero un sacco di storie: Si ma cosa ne sappiamo che non ti è caduto a terra quando hai aperto la scatola? Era tua responsabilità controllare tutto all'interno del negozio...Il tizio mi diede un numero telefonico del customer service per chiedere un rimborso e provai decine di volte ma nessuno rispondeva a quel numero e alla fine decisi di comprare un altro alimentatore di tasca mia. Non tornai più in quel negozio e gli feci cattiva pubblicità con tutti i miei amici. Credo di avergli fatto perdere almeno una decina di clienti ma in quel periodo era l'unico negozio in zona che vendeva quei prodotti e la mancanza di concorrenza lo poneva in una situazione di "monopolio". Dici clienti in meno non gli avrà causato una grande perdita. Sono piccole cose, certo, ma noi Italiani ci facciamo sempre riconoscere, sia in Italia che in America.

giovedì 14 dicembre 2017

La storia di Babbo Natale


Conoscete la vera storia di Babbo Natale? Ha origine molti secoli fa a Myra in Asia Minore, nell’attuale Turchia. In quella città viveva un uomo che si sarebbe distinto per le sue opere di carità: San Nicola. Ci sono sono le leggende sulla sua vita ma quella più celebre è la storia delle tre ragazzine costrette dalla famiglia a prostituirsi a causa delle loro condizioni di povertà. La leggenda narra che San Nicola, mosso a compassione, fece recapitare al padre delle ragazzine tre sacchi pieni d’oro, nell’arco di tre notti. Le prime due riuscì a introdurre i sacchi tramite una finestra aperta ma la terza notte la finestra era chiusa. San Nicola non si perse d’animo, si arrampicò sul tetto e lasciò cadere il terzo sacco dal camino. Le ragazzine riuscirono a liberarsi dalla prostituzione e trovare marito grazie alla dote di San Nicola che da quel momento venne riconosciuto come il protettore dei bambini. Il 6 dicembre, si celebra la sua festa e per lungo tempo proprio il 6 dicembre è stata la festa dei regali ai bambini e in alcuni Paesi lo è ancora.

Dalla Turchia il culto di San Nicola si diffuse velocemente in tutta Europa ma venne abolito durante la riforma protestante perché contraria al culto dei santi. Il ruolo di San Nicola come dispensatore di regali venne sostituito da Gesù bambino  che porta i doni ai bambini tra il 24 e il 25 dicembre. 

Ma serviva anche un personaggio che punisse i bambini che si erano comportati male durante l’anno, e la figura di Gesù non era adatta allo scopo. 

 

Assunse quindi importanza una figura pre-cristiana del folklore germanico già associata a San Nicola in qualità di suo servo-aiutante: Krampus, un demone dall’aspetto caprino, dalle corna appuntite e con una lunga lingua rossa che va in giro la notte del 5 dicembre con un fascio di rami secchi in cerca di bambini cattivi. Krampus può limitarsi a lasciare un ramo secco come dono ai bambini cattivi ma può decidere anche di rapirli, gettarli in un fiume o mangiarli. 


Sia Krampus che Gesù bambino vennero gradualmente dimenticati in favore di San Nicola, che tornò in auge quando gli Olandesi emigrarono negli Stati Uniti. Gli Olandesi erano devoti a San Nicola, che chiamavano Sinterklaas e importarono il suo culto anche nel nuovo mondo dove Sinterklaas sarebbe divenuto Santa Claus grazie al contributo di alcuni scrittori, poeti e illustratori, tra i quali i due newyorkesi Moore e Nast.

Nel 1822 Clement Clark Moore scrisse una poesia per i propri figli intitolata A visit from Saint Nicholas, anche nota come The Night Before Christmas, che ebbe un grandissimo successo e venne pubblicata su diversi giornali. Moore modificò le figure tradizionali di San Nicola e SinterKlaas dando loro dei tratti di un allegro elfo panciuto dalla barba bianca che entra in casa di notte attraverso il camino.

Nel 1862 l’illustratore Thomas Nast ne diede un’immagine ancora più definita sulla rivista Harpers Weekly raffigurandolo come un omone panciuto con abito rosso, con risvolti di pelliccia bianca, che vive al polo nord e si muove con una slitta trainata da 8 renne. Nacque così il Santa Claus che tutti conosciamo la cui immagine venne fissata in modo definitivo da un’importante campagna pubblicitaria della Coca Cola del 1931.

 

Santa Claus nacque quindi in Turchia, si spostò in Europa, emigrò negli Stati Uniti, e ritornò in Europa. La trasformazione da San Nicola a Santa Claus è durata molti secoli e contrariamente all’immagine consumista che ha assunto negli ultimi decenni è una figura molto più legata alle origini cristiane di quanto si possa pensare immaginare. Buon Natale a tutti.

domenica 10 dicembre 2017

Chi si ferma è perduto

Pochi giorni fa ho scritto un post in cui descrivevo la facilità con cui gli Americani cambiano lavoro o, per lo meno, la loro propensione mentale a cambiare. Il post  ha suscitato un pò di incredulità da parte di qualche lettore italiano che sostanzialmente mi ha chiesto, nei commenti, se è mai possibile che gli Americani riescano a mettere da parte famiglia ed amici così facilmente pur di inseguire un lavoro migliore, in un'altra città o addirittura in un altro stato.  La mia risposta è: si, è possibile, confermo e sottoscrivo, e anzi "rilancio" con un'altra idea, confermata dalla realtà e da questo articolo di Monster.com, sostenendo che non solo gli Americani cambiano lavoro quando le cose un pochino male ma anche quando vanno benino perché qui, nonostante la crisi e con le dovute eccezioni, si può sempre trovare di meglio e l'articolo di Monster conferma questa mia tesi. L'articolo può suonare strano ad alcuni lettori ma la prospettiva americana è davvero diversa.
Sarà perché la disoccupazione è a livelli bassissimi, sarà perché la meritocrazia è presente, fatto sta che gli Americani non cercano il posto fisso e lo guardano con sospetto perché chi si ferma è perduto e il segreto è cambiare. Ovviamente l'autore non si riferisce a chi all'interno della stessa azienda riesce a ottenere promozioni e aumenti sostanziosi nel giro di un breve periodo ma queste sono situazioni da film, o meglio ci sono ma non così frequenti come si possa pensare, per tutti i comuni mortali la storia è diversa e bisogna sudare sette camicie per raggiungere dei risultati e se si arriva a un punto di stallo, senza scatti in carriera o aumenti sostanziali, con la consapevolezza che niente di li a breve cambierà, l'unica cosa da fare è cambiare. Guardarsi attorno, andare a fare colloqui e arrivederci e grazie quando si trova una compagnia migliore.

L'autore dell'articolo suggerisce la regola dei 4 anni. Se in quel periodo gli aumenti e le promozioni tardano ad arrivare, è tempo di cambiare, vi siete adagiati troppo, dovete darvi una mossa. 
Non solo, restare troppo a lungo nella stessa compagnia può essere considerato controproducente. Una tale "stabilità" può far pensare ai potenziali datori di lavoro che non siete dinamici, vi siete impigriti, non avete ambizioni e probabilmente non siete propensi al cambiamento e quindi anche più difficili da inserire in una nuova azienda, soprattutto quando vedono che non avete avuto avanzamenti in carriera e siete rimasti magari anche 8-10 anni nella stessa azienda. 

Dal punto di vista italiano l'idea di cambiare lavoro può fare paura o alla meglio ci mette un pò in ansia. Prendiamo il mio caso. Mi trovo bene con tutti, i colleghi e i superiori sono simpatici, sembra quasi una famiglia, non ho particolari difficoltà, tutto è ormai molto facile e senza sorprese. L'idea di cambiare lavoro mi fa pensare al fastidio di andare a fare colloqui, cambiare città, cercare un nuovo appartamento, mettermi a fare un trasloco... Aspetta un attimo, dico a me stesso, ci pensiamo tra un paio di mesi. Allo stesso tempo qualcos'altro mi dice di cambiare. Perché l'idillio è solo apparente e se considero un piccolo avanzamento e un piccolo aumento agli inizi, la situazione è rimasta statica, troppo statica, non sto imparando niente di nuovo, non vedo possibilità imminenti di avanzamenti e nonostante sia molto apprezzato dal mio manager, l'aumento promesso sta tardando ad arrivare (da oltre un anno) e sto iniziando ad annoiarmi. Non sarà tempo di cambiare? Se osservo alcune giovani colleghe americane devo dire che la mentalità è totalmente diversa. Molto americana, ovviamente. Laureate nei tempi, perché qui non esiste il fuori corso, a 22 anni hanno iniziato a lavorare, hanno cambiato due tre compagnie e sono da poco approdate alla nostra. Guadagnano più di me  (alcune per merito altre un pò meno) e sono accomunate da una caratteristica: hanno sempre cambiato anche quando stavano bene. Addirittura continuano a cercare lavoro e a fare colloqui anche adesso che a solo tre anni dalla laurea guadagnano già moltissimo, hanno quell'ottimismo e quel dinamismo meno presente in noi italiani perché gli avranno insegnato, come un mantra, che le opportunità in questo Paese sono sempre dietro l'angolo e non bisogna mai adagiarsi. Ecco forse dovrei prendere esempio da loro e rimboccarmi le maniche. Non dovrei più pensare che mi attivo tra un paio di mesi. E' così che passano gli anni e chi si ferma è perduto.

giovedì 7 dicembre 2017

Ugly Christmas Sweaters

Ciao a tutti, e' quasi Natale e oggi vi parlo della moda americana degli Ugly Christmas Sweaters. Li avrete visti indossati dai protagonisti di molti film americani, i "brutti maglioni natalizi" coloratissimi, pacchiani, pieni di renne, pupazzi di neve, slitte e babbi natale. Li indossano soprattutto gli adulti a Natale o alla vigilia di Natale. C'e' anche chi li indossa in ufficio il 22 o 23 dicembre e ci sono gruppi di amici che organizzano feste a tema Ugly Christmas Sweater durante le quali ognuno sfoggia il proprio maglione piu' brutto e a fine serata viene votato il maglione piu' ugly tra gli ugly. Negli ultimi anni questi strambi maglioni sono diventati una vera moda e tutti i negozi hanno un settore dedicato ad essi. Chi li indossa dimostra di avere senso dell'umorismo nonche' coraggio e  sorprende e fa sorridere gli amici, colleghi e parenti. In origine gli ugly Christmas sweaters venivano sferruzzati a mano dalle nonne che li donavano con orgoglio a figli e nipoti i quali non potevano esimersi dall'indossarli proprio il giorno di Gesu' bambino. Non potevano deludere la nonna e dovevano dimostrarle di aver apprezzato tantissimo quel dono amorevolmente e pazientemente sferruzzato per mesi. Oggi vengono prodotti brutti di proposito ma alcuni riescono ad essere anche addirittura belli, o meglio di un brutto che piace. Trendy. Per me esprimono creativita' e umorismo tutti americani e sto pensando di comprarne uno, o meglio spero che me ne regalino uno. Con gli ugly christmas sweater si realizza finalmente il sogno di tutti noi di poter dire a chi ci dona qualcosa di brutto...Il tuo regalo fa veramente schifo! Il donatore fara' un sorriso, felice di averci regalato il maglione piu' brutto possibile. 
Eccone alcuni:





E, da appassionato della prima stagione di Stranger Things e di videogiochi anni 80, eccone due che potrei acquistare: