sabato 29 maggio 2021

Storie dal cuore dell'America

Amo la letteratura americana sin da quando sono ragazzino. Ho iniziato con i classici scrittori dell'horror come H.P. Lovecraft, Edgar Allan Poe, Stephen King ma ho continuato con Bukowski, John Fante, Steinbeck, Jack London, Philipp Dick e tantissimi altri. Ieri ho iniziato a leggere una raccolta di racconti intitolata Ho pensato che mio padre fosse Dio di Paul Auster, un altro dei miei preferiti di cui ho apprezzato molto Follie di Brooklyn e La musica del caso, e mi sta piacendo molto. In realtà i racconti non sono i suoi ma li ha solo selezionati.

Il suo progetto nasce da un'intervista che diede alla NPR, la National Public Radio, al termine della quale gli chiesero se fosse interessato a scrivere e leggere un racconto inedito al mese, per radio. Auster non era in realtà molto convinto perché scrivere un racconto al mese era un impegno che non poteva assicurare di portare a termine perché in quel periodo ne aveva già tanti da rispettare con la sua casa editrice, ma la moglie gli suggerì: Non devono per forza essere tuoi racconti, puoi farli scrivere...dagli ascoltatori. L'idea piacque molto allo scrittore di Brooklyn (e alla NPR) che qualche giorno dopo chiese agli ascoltatori di inviargli i loro racconti. Unica regola, niente opere di fantasia, racconti basati sulle loro esperienze reali. Gli ascoltatori, di ogni età, provenienza, etnia, stato sociale, inviarono migliaia di racconti che vennero selezionati e diedero forma a questa racconta. Un bell'esempio di diversity e un storie d'America. Tra i racconti letti finora mi è piaciuto e mi ha fatto sorridere "Monello", un racconto di un certo Yale Huffman del Colorado che tratta in modo divertente del razzismo e del Ku Klux Klan. Eccolo, qui sotto. E voi avete letto questa raccolta? Consigliate qualche libro o scrittore americano in particolare?


Monello

La rinascita del Ku Klux Klan negli anni Venti costituisce un fenomeno che nessuno è ancora riuscito a spiegare del tutto. All’improvviso le città del Midwest si ritrovarono prigioniere di questa confraternita segreta, ben decisa a eliminare negri ed ebrei dalla società americana. Nelle cittadine come Broken Bow, nel Nebraska, dove vivevano soltanto due famiglie di colore e una ebrea, furono i cattolici a essere presi di mira. Gli uomini del Klan confabulavano tra loro della congiura ordita dal papa per conquistare l’America: i sotterranei delle chiese nascondevano arsenali, e preti e monache dopo la messa si davano a orge selvagge. Finita la Prima guerra mondiale e sconfitti gli Unni, diventava necessario creare un nuovo obiettivo per quelli che hanno sempre bisogno di qualcuno da odiare. La cosa stupefacente era il numero delle persone di quella risma.

A Broken Bow e nella Custer County furono in molti a lasciarsi adescare dal fascino virile dell’associazione segreta e dal suo appello all’istinto «Noi contro di Loro», un istinto diffuso universalmente tra tutti gli esseri umani, a quanto sembra. Tra i personaggi che si opposero alla confraternita ci furono i due banchieri della zona: John Richardson e mio padre, Y. B. Huffman. Decisero entrambi di ignorare la telefonata con la quale il Klan intimava loro di boicottare i cattolici. Grazie alla resistenza delle due banche, le mire del Klan a quel proposito vennero vanificate, ma al momento delle elezioni della commissione scolastica fu mia madre Martha a pagarne le conseguenze. Ne uscí pesantemente sconfitta, per via dei pettegolezzi calunniosi che le attribuivano una tresca con il farmacista piú rinomato della comunità.

Arrivò il giorno della parata annuale del Ku Klux Klan sulla piazza della città. Gli uomini dell’associazione sceglievano sempre un sabato d’estate, perché la cittadina fosse affollata di contadini e proprietari di ranch. Avvolti nei loro mantelli bianchi, con i cappelli a cono e le maschere bucate all’altezza degli occhi, i membri della confraternita marciarono a passo solenne per rammentare a tutti la propria dignità e il proprio prestigio, guidati dalla figura autorevole ma anonima del grande kleagle1 . La folla assiepata sul marciapiede si scambiava congetture su quei misteriosi individui e sui loro arcani poteri.

E poi, da un vicolo, sbucò trotterellando un cagnolino dal mantello bianco chiazzato di nero. Gli abitanti di Broken Bow si conoscevano tutti a vicenda, e riuscivano a identificare anche i cani, almeno quelli piú facilmente individuabili. Il nostro pastore tedesco, Hidda, e il cane da riporto di Art Melville erano personaggi famosi.

Il botolo maculato corse tutto allegro dal grande kleagle e gli saltò addosso, reclamando a forza di sonori latrati una carezza sulla testolina dalla mano amata del padrone. – Monello, – cominciarono a esclamare tutti. – È il cane del dottor Jensen, Monello –. Nel frattempo il maestoso dignitario a capo della processione agitava le lunghe gambe sotto il mantello nel tentativo di scacciare a calci quello che senza ombra di dubbio era il suo cagnolino. – A casa, Monello, a casa!

Il nome dell’animale stava ormai passando di bocca in bocca lungo il marciapiede davanti al quale doveva sfilare il corteo. E la gente non si limitava a sussurrare: tutti parlavano ad alta voce per dimostrare quanto fossero bene informati. Colpetti di gomito e risatine percorrevano le file degli spettatori come tremolii e fruscii di foglie prima di un’errabonda folata di vento. Poi arrivò il figlio di Jensen e richiamò la bestiola. – Monello, qua! Monello, qua!

Quell’intervento ruppe la tensione. Qualcuno fece eco al grido: – Monello, qua! – Le risatine divennero sghignazzate, e una bufera di ilarità inondò la piazza. Il dottor Jensen smise di prendere a calci il proprio cane e riprese a marciare in atteggiamento solenne, ma gli spettatori continuarono imperterriti: – Monello, qua! Monello, qua!

L’episodio segnò la fine del Ku Klux Klan a Broken Bow. Il dottor Jensen era un veterinario abbastanza bravo, specializzato nella cura degli animali di grandi dimensioni, e mantenne una certa popolarità fra gli agricoltori e i proprietari di ranch. Forse i suoi clienti lo chiamavano volentieri per poter poi commentare la cosa con i vicini, ma ben pochi si facevano beffe di lui. Di quando in quando, nel vederlo passare alla guida della sua automobile, un ragazzino piú furbo degli altri gli gridava dietro «Monello, qua!”

E da quel sabato in poi, al cagnolino bianco maculato di nero fu impedito di allontanarsi da casa.

YALE HUFFMAN

Denver, Colorado

Excerpt From: Paul Auster. “Ho pensato che mio padre fosse Dio.” Apple Books. https://books.apple.com/us/book/ho-pensato-che-mio-padre-fosse-dio/id497902981


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