Un mese fa, come sapete, ho sostenuto e superato il test e il colloquio per la naturalizzazione americana.
Ieri è stato l’ultimo step ovvero il giuramento (Oath of Allegiance) e la cerimonia di naturalizzazione.
Poiché la sede, Hartford, è a quasi due ore di macchina dalla mia città, la sera prima sono andato a dormire in un piccolo hotel non lontano dalla sede della cerimonia. La stanza era un po’ umida e fredda e, anche se ho acceso il riscaldamento, mi sono svegliato con un mal di testa che è andato via solo in serata molte ore dopo la cerimonia. Ma insomma, fa niente.
Di buona mattina sono andato alla sede dell’USCIS e dopo i controlli del metal detector mi hanno fatto accomodare in una saletta con altre trenta persone. Nella saletta dovevamo essere seduti a distanza di due posti l’uno dall’altro e indossare le mascherine per tutta la durata della cerimonia.
Prima di entrare ero preoccupato di non essere troppo elegante, jeans grigio scuri, camicia azzurra e giacca blu. Forse non avrei dovuto mettere i jeans? Sulla lettera dell’USCIS era scritto di vestirsi in modo appropriato. Ma mi sono guardato attorno e mi sono rasserenato. C’era gente vestita in modo sobrio o elegante ma non tutti. Un ragazzo aveva una felpa e dei jeans a mo’ di rapper, un altro un cappellino della Mercedes e una tuta e sembrava un pilota di formula uno e un’altra…un felpone grigio con tutti i personaggi coloratissimi di Scooby-Doo!
Alle 8:30 am in punto è entrata una funzionaria dell’immigration che ci ha chiesto di darle la green card e il modulo richiesto di precompilare a casa (in cui bisognava dichiarare se dal giorno del colloquio era cambiato qualcosa. Matrimonio? Viaggio fuori gli Usa? Arresto?).
Poi chi ha dato una bandierina americana e un plico contenente il testo del giuramento e varie informazioni su come richiedere il passaporto americano, come far diventare cittadini i propri figli o la propria compagna, come registrarsi per votare.
Dopodiché è entrata una funzionaria di grado superiore che ci ha spiegato che in periodo pre-covid le cerimonie venivano fatte da un giudice in un’altra aula ma ora l’avrebbe fatta lei in quella sala e anche se meno solenne sarebbe stata comunque una cerimonia dello stesso valore anche se un po’ più veloce.
Ci ha fatto un discorso sui diritti e doveri da cittadini americani e ci ha chiesto di alzarci in piedi e mettere la mano destra sul petto per ripetere dopo di lei le parole del giuramento:
"I hereby declare, on oath, that I absolutely and entirely renounce and abjure all allegiance and fidelity to any foreign prince, potentate, state, or sovereignty, of whom or which I have heretofore been a subject or citizen; that I will support and defend the Constitution and laws of the United States of America against all enemies, foreign and domestic; that I will bear true faith and allegiance to the same; that I will bear arms on behalf of the United States when required by the law; that I will perform noncombatant service in the Armed Forces of the United States when required by the law; that I will perform work of national importance under civilian direction when required by the law; and that I take this obligation freely, without any mental reservation or purpose of evasion; so help me God."
Dopo il giuramento ci ha detto:
“Congratulations you are now citizens of the United States of America.” Tutti abbiamo applaudito.
“Ora chiamerò uno alla volta per nome e cognome e nazionalità di provenienza. Quando vi chiamo potete venire da me e vi consegno il certificato di naturalizzazione, dopodiché se non avete domande potete tornare a casa. Di nuovo congratulazioni”
La chiamata dei nomi è stata interessante: Maria…from Greece. Juan…from Brazil, Monique from France. Ad ogni nome tutti gli altri applaudivano.
C’erano persone da varie parti del mondo, dall’U.K., la Jamaica, Porto Rico, Tailandia. C’era anche una persona del Gabon che ha me ha fatto tornare in mente una scena di un film di Verdone (Ah ecco dovere era finito! - ho pensato - ridacchiando sotto la mascherina). Il mio nome non arrivava mai...mi ha chiamato per ultimo. Quando ha finalmente chiamato “Luca…from Italy” si è sentito un whohoo come a dire “wow dall’Italia, che figo”. Erano i due ragazzi della Giamaica e la ragazza della Tailandia. Che forte, basta dire Italia e tutti pensano a uno dei Paesi più belli del mondo. Gli ho sorriso e ho detto “thank you” e poi ho sorriso anche alla funzionaria che a sua volta aveva sorriso per l’ovazione ho ringraziato anche lei, ho preso il certificato di naturalizzazione e sono uscito. Un giornata interessante, divertente e sicuramente una delle più importanti della mia vita in America.