lunedì 18 ottobre 2021

Il giuramento e la cerimonia di naturalizzazione

Un mese fa, come sapete, ho sostenuto e superato il test e il colloquio per la naturalizzazione americana.

Ieri è stato l’ultimo step ovvero il giuramento (Oath of Allegiance) e la cerimonia di naturalizzazione.

Poiché la sede, Hartford, è a quasi due ore di macchina dalla mia città, la sera prima sono andato a dormire in un piccolo hotel non lontano dalla sede della cerimonia. La stanza era un po’ umida e fredda e, anche se ho acceso il riscaldamento, mi sono svegliato con un mal di testa che  è andato via solo in serata molte ore dopo la cerimonia. Ma insomma, fa niente.

 

Di buona mattina sono andato alla sede dell’USCIS e dopo i controlli del metal detector mi hanno fatto accomodare in una saletta con altre trenta persone. Nella saletta dovevamo essere seduti a distanza di due posti l’uno dall’altro e indossare le mascherine per tutta la durata della cerimonia. 

 

Prima di entrare ero preoccupato di non essere troppo elegante, jeans grigio scuri, camicia azzurra e giacca blu. Forse non avrei dovuto mettere i jeans? Sulla lettera dell’USCIS era scritto di vestirsi in modo appropriato. Ma mi sono guardato attorno e mi sono rasserenato. C’era gente vestita in modo sobrio o elegante ma non tutti. Un ragazzo aveva una felpa e dei jeans a mo’ di rapper, un altro un cappellino della Mercedes e una tuta e sembrava un pilota di formula uno e un’altra…un felpone grigio con tutti i personaggi coloratissimi di Scooby-Doo! 

 

Alle 8:30 am in punto è entrata una funzionaria dell’immigration che ci ha chiesto di darle la green card e il modulo richiesto di precompilare a casa (in cui bisognava dichiarare se dal giorno del colloquio era cambiato qualcosa. Matrimonio? Viaggio fuori gli Usa? Arresto?).

Poi chi ha dato una bandierina americana e un plico contenente il testo del giuramento e varie informazioni su come richiedere il passaporto americano, come far diventare cittadini i propri figli o la propria compagna, come registrarsi per votare.

Dopodiché è entrata una funzionaria di grado superiore che ci ha spiegato che in periodo pre-covid le cerimonie venivano fatte da un giudice in un’altra aula ma ora l’avrebbe fatta lei in quella sala e anche se meno solenne sarebbe stata comunque una cerimonia dello stesso valore anche se un po’ più veloce.

 

Ci ha fatto un discorso sui diritti e doveri da cittadini americani e ci ha chiesto di alzarci in piedi e mettere la mano destra sul petto per  ripetere dopo di lei le parole del giuramento:

 

"I hereby declare, on oath, that I absolutely and entirely renounce and abjure all allegiance and fidelity to any foreign prince, potentate, state, or sovereignty, of whom or which I have heretofore been a subject or citizen; that I will support and defend the Constitution and laws of the United States of America against all enemies, foreign and domestic; that I will bear true faith and allegiance to the same; that I will bear arms on behalf of the United States when required by the law; that I will perform noncombatant service in the Armed Forces of the United States when required by the law; that I will perform work of national importance under civilian direction when required by the law; and that I take this obligation freely, without any mental reservation or purpose of evasion; so help me God."

 

Dopo il giuramento ci ha detto:

“Congratulations you are now citizens of the United States of America.” Tutti abbiamo applaudito.

“Ora chiamerò uno alla volta per nome e cognome e nazionalità di provenienza. Quando vi chiamo potete venire da me e vi consegno il certificato di naturalizzazione, dopodiché se non avete domande potete tornare a casa. Di nuovo congratulazioni”

 

La chiamata dei nomi è stata interessante: Maria…from Greece. Juan…from Brazil, Monique from France. Ad ogni nome tutti gli altri applaudivano.

C’erano persone da varie parti del mondo, dall’U.K., la Jamaica, Porto Rico, Tailandia. C’era anche una persona del Gabon che ha me ha fatto tornare in mente una scena di un film di Verdone (Ah ecco dovere era finito! - ho pensato - ridacchiando sotto la mascherina). Il mio nome non arrivava mai...mi ha chiamato per ultimo. Quando ha finalmente chiamato “Luca…from Italy” si è sentito un whohoo come a dire “wow dall’Italia, che figo”. Erano i due ragazzi della Giamaica e la ragazza della Tailandia. Che forte, basta dire Italia e tutti pensano a uno dei Paesi più belli del mondo. Gli ho sorriso e ho detto “thank you” e poi ho sorriso anche alla funzionaria che a sua volta aveva sorriso per l’ovazione ho ringraziato anche lei, ho preso il certificato di naturalizzazione e sono uscito. Un giornata interessante, divertente e sicuramente una delle più importanti della mia vita in America.

American Citizen

Ero appena un bambino quando visitai gli Usa per la prima volta. I miei genitori proposero a me e ai miei fratelli di fare una vacanza a New York  per visitare zii e nonni italo-americani.  Ovviamente non vedevamo l’ora di partire. Avendo vissuto fino ad allora sempre nel mio piccolo paesino del sud Italia,  dove il tempo sembra essersi fermato, uscire dal JFK airport fu come varcare la porta segreta di un mondo fantastico, dinamico, elettrizzante e pieno di sorprese.

 

Bastarono due giorni per innamorarmi dell’America: Central Park, Rockfeller Center con l’albero di Natale e la pista di pattinaggio, la vista dall’Empire State Building e la vista incredibile dall’86esimo piano, la 5th Avenue, la Statua della Libertà ed Ellis Island, Times Square, il ponte di Brooklyn e lo skyline di Manhattan di notte. Tutto stupendo. E adoravo anche la serenità delle zone residenziali, le bandiere americane sulle porte, gli scoiattoli che si arrampicavano sugli alberi, la neve sui prati, i piccoli negozietti e i grandi supermercati, le insegne in inglese. E mi colpirono ancora di più la gentilezza, il senso civico e la positività della gente e la vista di persone di tutte le etnie del mondo che convivevano senza troppi problemi. 

 

La prima vacanza fu a dicembre ma venni poi anche in estate, periodo di barbecue, 4 luglio, fuochi d’artificio in spiaggia, e poi venni ogni 4 anni circa fino al periodo dell’università in cui dovetti interrompere per gli studi. Poi arrivò l’11 settembre. Mancavano ancora tre anni alla laurea ma quel giorno decisi che sarei partito presto per l’America, mancavo da troppo tempo, e questa volta sarei restato più a lungo di una semplice vacanza, magari qualche mese o un anno anche se…era un sogno che confidai solo a me stesso, anche perché quasi impossibile, iniziai a pensare a un grande progetto di vita: e se provassi a restarci a vita?

 

Partii appena due settimane dopo la laurea senza un piano preciso. Potevo restare solo 90 giorni e dovevo trovare un modo per restare più a lungo.  Così  mi iscrissi a un community college che frequentai per due anni. Poi trovai lavoro e restai per altri cinque anni ma dopo qualche tempo qualcosa iniziò a non andare bene. A lavoro non mi pagavano moltissimo e tutti i miei risparmi se ne andavano in pratiche burocratiche.  Col visto legato all’azienda non potevo cambiare lavoro. Mi mancava un po’ l’Italia e la mia famiglia, molti miei amici erano già tornati in Italia perché non gli avevano rinnovato il visto. Insomma fu una crisi del 7 anno. Abbandonai l’America e partii per l’Italia. 

 

Ma in Italia fu più difficile del previsto. Ero felice di esser tornato dai miei ma non potevo farmi mantenere a vita. Dovevo trovare un lavoro. A niente sembrò servire l’esperienza americana. Impiegai mesi di colloqui ridicoli prima di trovare un lavoro e mi licenziai dopo una sola settimana. proprietari, marito e moglie, erano due tipi odiosi, arroganti e cafoni che mi parlavano dall’alto in basso e che non mantennero le promesse fatte durante il colloquio. Partii per Londra dove feci una bella esperienza lavorativa di un anno, poi tornai in Italia perché uscì fuori un’altra possibilità lavorativa.

Ma fu un’altra esperienza ridicola, ai limiti dello sfruttamento schiavista, ai confini della realtà. Mi licenziai dopo una settimana, come al primo lavoro.

 

Le avevo tentate tutte in Italia e non sapevo che fare. L’America iniziò a mancarmi e capii che avevo fatto un errore a lasciarla. Ormai era chiaro: il mio posto era in America. Italia o Inghilterra non erano per me. 

 

E così ripartii per l’America ma dovevo iniziare tutto da zero e trovare un lavoro in 90 giorni. Per fortuna trovai un’azienda disposta a sponsorizzarmi così riuscii a mettere piede in America. Altro visto di lavoro e dopo due anni. Grazie all’azienda, ottenni la fatidica green card! Ero finalmente libero, non avevo più l’ansia dei rinnovi dei visti con la paura di una non approvazione e di un ritorno forzato in Italia. Ero diventato un permanent resident e volendo avrei potuto anche cambiare lavoro. Libertà assoluta. E da allora le cose iniziarono a girare bene, molto meglio della mia prima, non facile, esperienza americana.

 

Chi ottiene la green card solitamente è contento così, è soddisfatto e non va oltre. A me fa sentire invece di essere ancora un “esterno”, che sfrutta le opportunità ma non si sente di fare l’ultimo passo. Per questo, poiché dopo 18 mi sento parte integrante della società americana, mesi fa ho deciso di fare domanda per la cittadinanza. 

 

E oggi è stato il grande giorno della cerimonia del giuramento. 

E’ stata interessante e mentre recitavo il giuramento assieme a tutti gli altri, ho pensato a tutti i momenti importanti trascorsi in America, giornate euforiche, di gioia, ma anche momenti difficili, giornate d’amore e di odio, di scontri, indecisioni, abbandoni e ritorni. Quante ne abbiamo passate assieme io e l’America! 

Ma mi ha accolto a braccia aperte due volte e oggi abbiamo deciso di consolidare il rapporto. Nonostante tutte le bufere passate, siamo una bella coppia io e Miss America.  

 

Congratulations – ha detto la funzionaria appena abbiamo finito di recitare il giuramento – You are now citizens of the United States of America.