Vivo a: Lafayette, Louisiana
In Usa dal: 2017
Professione: Giornalista
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• Racconta la storia che ti ha portato negli USA:
La mia tesina delle scuole elementari, nella primavera 2002 fu la descrizione di un viaggio negli Stati Uniti. Mi immaginai di andare a New York e di visitare il Pentagono e la Casa Bianca a Washington e cercai di descrivere nel modo quanto più accurato possibile che cosa avrei potuto vedere, sulla base di quanto avevo letto sui libri di storia e di geografia. Lì capii istintivamente di avere un legame non razionale verso questo Paese, che vedevo così lontano e così pieno di storie da scoprire. Parallelamente ho sviluppato fin da piccolino una grande passione per la scrittura: i miei compagni di scuola, quando veniva chiesto loro di descrivere qualcosa, prendevano i pastelli e coloravano, disegnavano. Io prendevo la penna cancellabile e scrivevo. Il mio arrivo negli USA si basa su queste due componenti: la scrittura e il giornalismo da una parte, il fascino degli orizzonti americani dall’altra. Non potevo non trasferirmi.
• Di cosa ti occupi qui negli Stati uniti?
Dopo aver lavorato per quattro anni come corrispondente straniero, scrivendo per il quotidiano milanese Mi-Tomorrow e collaborando saltuariamente per altre testate nazionali come L’Espresso, Radio Popolare, La Repubblica, Panorama, Linkiesta, Il Giornale – InsideOver e 7 Corriere della Sera, sono stato selezionato da Poynter Institute per la Fellowship 2021-22 su media e giornalismo. Al momento scrivo in inglese per The Advocate | New Orleans Times-Picayune, testata vincitrice del Premio Pulitzer 2019, per cui mi occupo di immigrazione e cronaca dalla redazione di Lafayette.
• Quali sono le differenze che hai riscontrato tra la professione di giornalista in Italia e in Usa?
Le differenze sono onestamente enormi. Ne porto due esempi. Il primo è nei contenuti: in Italia un articolo “tipo” parte spesso con una dichiarazione, un virgolettato. Negli Stati Uniti è severamente vietato. Sempre parlando di virgolettati, in Italia viene concessa una straordinaria libertà di riassumere il contenuto di quanto detto dalla persona intervistata. In inglese questo non viene tendenzialmente permesso: si quota parola per parola, lettera per lettera. Il secondo esempio che porto è nell’atteggiamento, e ci tengo a dire che mi riferisco alla carta stampata perché è il mondo che conosco di più. Ciò che mi ha spesso fatto male in Italia è vedere come troppo spesso il sistema premi il genere di giornalista capace di mettere se stesso di fronte alla notizia di cui parla. Negli Stati Uniti, ribadisco, almeno per la carta stampata, chi fa notizie raramente parla di sé. E quando lo fa, lo fa in sede di presentazione del prodotto, non all’interno dello stesso. Il giornalista, il reporter o come lo descrive l’agenzia Associated Press la “newsperson” è uno strumento, non un fine, non un motivo. È letteralmente la persona delle notizie. Sui social puoi condividere opinioni, ma i post sui social non sono articoli di giornali. Un’altra differenza è legata alla libertà garantita dal Primo Emendamento: in Italia l’uso della querela preventiva nei confronti dei giornalisti è vergognosa e penosa e serve da deterrente per spaventare chi produce contenuti di inchiesta; negli Stati Uniti nulla di tutto questo è minimamente immaginabile.
• Hai vissuto a New York e ora stai facendo esperienza in uno degli stati meno raccontati dagli Italiani che vivono in America: la Louisiana. Puoi raccontarci qualche impressione sulla diversità di due mondi così diversi? O magari hai riscontrato anche delle caratteristiche comuni che non ti aspettavi?
Sono due Paesi diversi inclusi in uno. New York è la capitale del mondo dove tutte e tutti si incontrano, estremamente frenetica, sempre pronta a cambiare volto e pelle, per natura diversa da tutto. La Louisiana, specialmente Lafayette dove vivo io, si affida molto di più a tradizioni decennali, muta con una velocità diversa, ha un legame con la terra, letterale, molto più forte. Non credo di aver mai visto negli USA così tanto amore verso la propria terra, vista come appartenenza, come l’ho visto in Louisiana. Considero New Orleans come ponte di collegamento tra questi due mondi, New York e Lafayette, in cui ho potuto vivere.
• Le prime impressioni da Italiano in USA e le prime differenze che hai notato rispetto alla vita in Italia
Sono arrivato da solo a New York da Milano nel maggio del 2017 e la prima cosa che ho notato è stata la diversità nei prezzi: affitto, metropolitana, spesa. A New York tutto ha un prezzo salato. Paghi, come si suol dire, l’investimento e lo paghi estremamente caro. Ho trascorso molti dei miei primi mesi, senza contratto fisso e con contatti tutti da costruire, a mangiare pizza a 1 dollaro a pranzo e a cena e a risparmiare su tutto quanto fosse possibile, aiutato finanziariamente da genitori lontani che mi hanno supportato in ogni modo possibile. Una differenza iniziale che ho trovato è stata poi la diversa ripartizione delle giornate: l’orario di cena anticipato, la colazione più fluida, i tempi allungati dai viaggi infiniti con la metropolitana di New York. Essere pendolari all’interno della stessa città è un’esperienza che ti cambia.
• Cosa hanno detto parenti ed amici quando hai detto che saresti andato a vivere negli USA? E cosa dicono oggi?
Come allora, come oggi, gli stessi preziosi consigli per cui sono grato: investi su te stesso, prenditi rischi, esci dalla comfort zone, lavora duro, segui il tuo istinto, pensa al tuo futuro.
• Cosa ami e cosa non ami degli USA? Come ti sembrano gli Americani, amici, conoscenti, colleghi?
Degli Stati Uniti amo la straordinaria capacità di mettersi costantemente in discussione. È un Paese dalle profonde contraddizioni, solcato da disuguaglianze croniche, influenzato dal razzismo sistemico frutto del “peccato originale”, come lo definiscono molti Washington, dei disumani decenni di schiavitù nei confronti della popolazione afroamericana. Il sistema cambia lentamente, è vero, a volte compie dei passi indietro, ma vivendolo da dentro ti dà la sensazione costante di volersi rigenerare e ridestare: a ogni azione si crea conseguentemente, un secondo dopo, una reazione; nulla è eterno e tutto viene messo in discussione; esprimere il proprio assenso o dissenso è sacro e questo permette un costante interscambio e flusso di pensieri, a volte anche troppo accesi, ma quasi sempre preziosi. Su questo, un ruolo straordinario lo ricopre, ancora, il Primo Emendamento.
Cosa non amo? L’ossessione per le armi, inaccettabile anche per chi come me ne ha voluto studiare le ragioni storiche e ha dovuto imparare quelle costituzionali. Non amo il fatto che molte e molti neo-cittadini o neo-Green Card si dimenticano che fino a qualche anno prima sono stati dei semplici possessori di visto ed esprimono posizioni di chiusura verso i nuovi arrivi. Non amo la tossica divisione che il Paese sta attraversando in questo periodo storico: il popolo americano si dimentica che sono molte di più le cose capaci di unirli di quelle capaci di separarli.
• Uno degli episodi che ti ha fatto esclamare: “Siamo proprio in America!”
9 Aprile, 2009. La mia prima volta allo Staples Center a Los Angeles. Fu il regalo dei miei genitori per il mio 18esimo compleanno, previsto per il giorno successivo (il 10). Non fu un aspetto in particolare, a farmi esclamare quella frase, fu l’intera esperienza. Ero proprio, davvero in America. Ero in California. E quel giorno capii che ci sarei dovuto venire a vivere.
• Cosa ti mancava i primi tempi in USA e cosa ti manca ancora dell’Italia All’inizio solo il cibo e la famiglia poi gli amici e pian piano anche i luoghi giornalieri.
A me dell’Italia mancano in modo particolare le persone: mamma e papà su tutti. Poi la famiglia, tra la mia adorata Milano e la mia amata Sicilia, e gli amici. Ma non ho, onestamente, particolare nostalgia per i luoghi di per sé. Se i miei genitori si trasferissero altrove, potrei vivere senza passare dall’Italia per anni, credo. Per quanto riguarda il cibo, sì, invece, va fatta ammenda: il caffè a 1 euro al bar e la colazione in centro storico a leggere il quotidiano è un’abitudine di cui sento profonda mancanza. Sempre parlando di cibo, non voglio nasconderlo, la nostalgia verso le lasagne di mamma si fa più forte.
• Quando torni in Italia provi il reverse culture shock ovvero noti qualche aspetto che ti colpisce che non avevi mai notato quado vivevi in Italia perché ti sembrava normale?
C’è un momento che si ripete ogni santa volta in cui torno in Italia: atterro dal volo New York – Milano, mi avvio verso il bar dell’aeroporto, mi ritrovo senza contanti e tento di pagare il primo caffè espresso con la carta. La faccia e la reazione del barista di turno sono uno straordinario dipinto del nostro Paese. Negli Stati Uniti non sarebbe stato un problema.
• Pensi che rimarrai a vita negli USA o un giorno tornerai in Italia?
Non ne ho la più pallida idea.
• Quali consigli vuoi dare agli Italiani che sognano di trasferirsi in America?
Tante persone vi diranno di non farlo perché è difficile: difficile lo è davvero, è un infinito casino quotidiano, ma se ve la sentite dentro di voi fatelo lo stesso. Anzi, trasferitevi proprio perché vi dicono di non farlo.
Se vuoi, puoi inviare fotografie di 3 luoghi di dove vivi e dirci due righe sul perché sono significativi/importanti/caratteristici per te.
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